Secondo le condizioni scritte chiaramente sul buono postale, avendo investito 5 milioni di lire 30 anni fa, avrebbe diritto oggi a 61mila euro. Ma le Poste, che applicano...
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Sono trentennali e così, dopo la scadenza, a inizio 2020, è andato all’incasso. E ci è andato preparato. «Avevo letto - racconta Mastellotto - di casi in cui le Poste hanno applicato tassi sfavorevoli e così, per gestire la questione, mi sono affidato allo studio legale Righes. Tramite l’avvocato Alexis Comis abbiamo dato incarico a un perito che ha stabilito quanto dovevano essere liquidati i due buoni in mio possesso: 61mila 719,45 euro ciascuno per un totale di 123mila 438,90 euro. Mi sono presentato sia alle poste di Belluno che di Mel, ma in entrambi i casi non c’è stato verso di ottenere quanto mi spetta. A questo punto dovrò ricorrere al Tribunale».
IL CASO
«I buoni che venivano fatti sottoscrivere ai risparmiatori - spiegano dallo studio legale Righes -, presentavano nella loro parte posteriore una tabella, che era già obsoleta al tempo in cui veniva fatta firmare, ma ovviamente la persona non lo sapeva. Erano buoni delle serie precedenti e avevano tabelle con i tassi precedenti più favorevoli, ma le Poste li avevano aggiornati con i timbri. Nel caso di Mastellotto c’è addirittura un doppio timbro, cosa non prevista dai decreti». Nel 1986 infatti, quando l’inflazione è scesa al 4,2% (dal 12,30% del 1983), il decreto che emanava la nuova serie “Q” di buoni fruttiferi postali e variava i rendimenti promessi “in peggio”. Ma Poste non ha stampato dei nuovi buoni. Ha continuato a utilizzare la modulistica delle serie “P” e “O”, che riportavano i vecchi rendimenti più vantaggiosi, “aggiornandoli” apponendoci dei timbri sul buono in cui indicavano, sul fronte, la nuova serie “Q”, e nel retro, i nuovi rendimenti. Ma i timbri erano incompleti e a volte riportavano i rendimenti solo per i primi venti anni, perciò non modificando quelli dal 21° al 30°. È proprio il caso di Mastelotto: il buono è del 1982 serie “O” e viene fatto firmare nel 1989, con timbro della serie “P” e poi “QP”. «Questo buono - sottolineano dallo studio Righes - prevede dal ventesimo al trentesimo anno 900 euro circa ogni due mesi. È stato aggiornato in maniera incompleta, ma la persona vede le condizioni riportate sul retro e le accetta. D’altronde i buoni sono caratterizzati da semplicità e chiarezza nell’individuazione della somma investita e dei rendimenti dovuti, nominativi e pagabili a vista».
L’ODISSEA
Così Mastellotto si presenta alle Poste. Prima l’avvocato Comis invia una lettera agli uffici informandoli che il suo assistito andrà allo sportello per vedersi liquidare il dovuto: due buoni per 123mila euro circa. Le Poste però, sia a Belluno che a Mel sono pronte a liquidare al massimo 52mila euro in totale (27mila euro a buono, secondo i tassi calcolati sulla serie “P” e “Q”). Mastellotto esce dagli uffici con i suoi buoni e torna allo studio legale Righes che invia una diffida alle Poste affinché adempia al contratto secondo i termini riportati nei buoni. Ma il termine previsto è già scaduto e ora si andrà in Tribunale e di procederà con decreto ingiuntivo. «Mi sono sentito preso in giro - dice Mastellotto - ho chiesto di avere quello che c’era scritto sul buono e mi hanno rimandato al sito di Poste Italiane Cassa depositi e prestiti dove ci sono tassi completamente diversi. Ho ritenuto che fosse al limite della truffa e ho voluto rendere pubblico quanto mi è accaduto per mettere in guardia altri risparmiatori». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino