Ferruccio Falconi, l'ambientalista veneziano difensore del mare

Ferruccio Falconi, ambientalista veneziano
VENEZIA - «Sono diventato ecologista inquinando i mari e mangiando carne di delfino». Un outing che non ti aspetteresti da Ferruccio Falconi, ambientalista veneziano,...

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VENEZIA - «Sono diventato ecologista inquinando i mari e mangiando carne di delfino». Un outing che non ti aspetteresti da Ferruccio Falconi, ambientalista veneziano, considerato un grande conoscitore della laguna e strenuo difensore della sua salvaguardia. Personaggio controverso - 94 anni lucidi ed energici, una loquacità debordante - che forse sconta un eccesso di autostima e protagonismo. Ogni giorno tempesta di email un lungo elenco di autorità - da Draghi al sindaco Brugnaro - con proposte e proteste in difesa dell'ambiente. Sicuramente un grande amante del mare che frequenta da oltre 80 anni. Un po' Cassandra e un po' don Chisciotte. Non combatte contro i mulini a vento, ma contro le navi che entrano in laguna. E paradossalmente per 32 anni ha fatto il pilota del Porto e addirittura il capo pilota, guidando proprio le grandi navi dentro la laguna. Ma anche in questo c'è una coerenza: conosci il nemico per combatterlo meglio.

MARE E TERRA

Ora, lungi dall'accontentarsi di una vita da pensionato, gestisce al Lido di Venezia il suo personalissimo Museo del mare e dei campi. Un concentrato di reperti che testimoniano il lungo navigare e le radici contadine, come lui ama sottolineare. Un'incredibile collezione di pezzi unici. Dal sommergibile P82, un moderno Nautilus capace di scendere fino a 30 metri con tre persone a bordo, al motore del Marinaretto, l'ultima nave scuola veneziana. E ancora scafandri, sestanti, bussole, lance di salvataggio, statue, enormi catene, ancore, reti, timoni, medaglie, targhe, foto. Ogni pezzo ha la sua storia che Falconi racconta con passione. Alle pareti decine di quadri di vita marinara dipinti da Giacomo Vaccaro, pittore maremmano prestato alla laguna. Un concentrato di secoli di navigazione. Migliaia di pezzi che meriterebbero maggior considerazione, perché costituiscono un'importante testimonianza di un mondo ormai radicalmente stravolto dalla tecnologia. La storia del comandante, come lo chiamano tutti, pare uscire da un romanzo di Joseph Conrad.
 

LA BIOGRAFIA

Nato nel marzo del '27 a Marina di Carrara, ha sempre respirato aria di mare, ma ha avuto anche un imprinting contadino nei campi della nonna nella Lunigiana. «Ho imparato a mungere le vacche e vivere nel bosco. Mi sono abituato ad amare la natura. Facevo come i marinai carrarini: d'estate navigano e d'inverno lavorano la terra». Ma l'acqua ha vinto il ballottaggio con la terraferma. Studi al Nautico di La Spezia e poi Accademia navale Livorno, da dove esce con il titolo di ufficiale di Guardiamarina, e subito imbarcato come direttore di tiro su una corvetta della Marina. «Guadagnavo 30mila lire al mese, non stavo male, però i miei compagni di studio, che si erano imbarcati sui mercantili, ne guadagnavano 300mila». Ha cambiato rotta. Gli anni come ufficiale sui mercantili sono quelli più avventurosi. Quelli che hanno portato alla svolta ambientalista. «Mi sono imbarcato sulle petroliere. Ne ho viste e vissute di tutti i colori. Erano vecchie carrette del mare. La sicurezza e il rispetto per l'ambiente non erano valori contemplati. Perdevano olio, dovevamo tappare le falle, lasciavamo una scia di idrocarburi. Ci si fermava in mezzo al mare, si lavava la stiva con acqua e clorato di potassio, poi si tappavano i buchi con ghiaia e cemento, unito alla soda caustica. Metodi empirici. Tutti gli scarichi finivano in mare. Uno scempio».

GRAN NAVIGATORE

Falconi racconta con enfasi, ma traspare l'amarezza: «Ho navigato dal Nord Europa al Sud America, Argentina, Nord America. Ho risalito il Rio delle Amazzoni e il Rio de la Plata. Caricavo il petrolio a Trinidad o nel Golfo del Messico. Le stive erano sempre piene. A volte le riempivamo di acqua per portarla a Curacao. I resti del petrolio galleggiavano e l'acqua restava pulita. Si fa per dire. Non c'era attenzione. Vedendo questi scempi ho capito quanto fosse importante difendere l'ambiente. Mi vergognavo: ero diventato un inquinatore a pagamento. Una volta, dopo aver svuotato il petrolio e lavato la stiva, ci hanno ordinato di riempirla di melassa destinata ad essere trasformata in zucchero. Pensi che delitto, zucchero inquinato dal petrolio». Per chi conosce il Falconi degli anni veneziani pensarlo, suo malgrado, inquinatore pare difficile. Addirittura anche cacciatore di delfini. «Per un periodo ho lavorato sui pescherecci. Anche lì ho visto, e purtroppo partecipato, allo scempio del mare. Con le reti a strascico si tirava su di tutto, provocano danni enormi ai fondali. Stragi di pesci e anche di uccelli che finivano nelle reti. I delfini venivano attorno alle barche per giocare e rubare un po' di pesce. Noi li infilzavamo con gli arpioni. Non posso dimenticare gli occhi espressivi di quegli animali mentre morivano. Devo ammettere che la loro carne è buonissima». 

LA SVOLTA

La conversione è avvenuta al rientro da un lungo periodo di navigazione. «Ho detto basta, non potevo essere complice di simili nefandezze contro la natura. Dovevo combatterle». Vince il concorso come pilota di Porto sia a Marina di Carrara che a Venezia. «Ho scelto Venezia, perché pagavano molto di più». Era il 1958, cominciava la seconda vita del comandante. Ha scoperto la laguna, il suo fragile ecosistema. È diventato un paladino della venezianità. Le sue battaglie e prese di posizione forti non si contano. «Io vorrei ridestare nei veneziani la passione per il mare. Il futuro di questa città è nel commercio di alto livello. Come faceva la Serenissima. Invece siamo diventati tutti pizzaioli al servizio dei turisti». E naturalmente le Grandi Navi fuori dalla laguna. «Tutte le navi devono restare fuori. Il porto va trasferito a Santa Maria del Mare, fuori dalla bocca di Malamocco. Lì con Pellestrina c'è una darsena naturale. E il porto sarebbe facilmente collegabile con un ponte alla terraferma. Così si eliminerebbero tutti i rischi per Venezia e la laguna non subirebbe più i danni ambientali. Tutti, quando si parla di Grandi Navi, pensano al rischio collisione, obiettivamente piuttosto remoto. Si parla meno dell'inquinamento provocato dai fumi e del riscaldamento delle acque causato dai motori di questi mostri marini». 
 

IL LESOTHO

Falconi è un fiume di parole. Ha una vitalità sorprendente. Dal suo ufficio in pieno centro al Lido, davanti agli imbarcaderi per Venezia, domina la laguna. Computer, strumenti nautici, radiotelefoni. Pare la plancia di comando di una nave. Invece, come attesta una bandiera a strisce blu, bianco e verde, siamo nella sede consolato del Lesotho, minuscolo staterello incastonato nel Sudafrica. Perchè Ferruccio Falconi, tra cariche e incarichi ha anche quello di console generale onorario del Lesotho. «Ci sono stato molti anni fa e mantengo ottimi rapporti con le autorità locali». Un piccolo regno di montagna, senza alcuno sbocco a mare. Al comandante non bastava la laguna di Venezia.
 

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Il Gazzettino