È ormai una vicenda che travalica i confini nazionali quellaspagnoloAlpinisti "caparbi" salvati dopo 3 giorni: il conto sale a 22.500 euro. Tanti alpinisti...
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IL GOVERNATORE
«A noi le beghe familiari non interessano e lasciamo che vengano gestite dentro la famiglia dei turisti spagnoli - dice il governatore Zaia nella nota diffusa ieri -. Gli operatori hanno registrato più chiamate da parte della madre e i nostri soccorsi sono intervenuti perché in questi casi sono obbligati a farlo». I due turisti hanno detto di non voler pagare il conto dell’elicottero, non avendo mai chiamato il 118. «Ho dato incarico all’Usl 1 Dolomiti - prosegue Zaia - di seguire con attenzione la vicenda e di adire, eventualmente, alle vie legali qualora confermassero la volontà dichiarata nelle interviste di non pagare gli interventi dei mezzi di soccorso. Tutto questo è una lezione, qualora volessero tornare dalle nostre parti. Perché questo non è solo un problema di costi e di utilizzo di mezzi di soccorso costosi, ma soprattutto di messa a repentaglio dell’incolumità, della vita dei nostri soccorritori. Se per loro, turisti o alpinisti che siano, è uno svago, per il Soccorso Alpino e Suem 118 è un pericolo». «E comunque, - precisa Zaia - visto che erano autonomi e dato che hanno rifiutato, quasi infastiditi, di essere soccorsi nelle prime due occasioni, ci spieghino per quale motivo la terza volta hanno accettato di essere recuperati e portati a valle dall’elicottero».
LA RISPOSTA
E a stretto giro arriva la risposta dell’alpinsta, David Crespo Martinez. «Non ci sono controversie familiari - dice -. La comunicazione in un’altra lingua è molto difficile e causa delle incomprensioni e questo è avvenuto. In risposta al governatore del perché abbiamo accettato l’ultimo salvataggio, vogliamo solo chiarire che noi due non abbiamo mai chiesto alcun salvataggio o che ci siamo sentiti male fisicamente o mentalmente per chiedere quel tipo di aiuto. La nostra volontà non è mai stata quella di mettere in pericolo qualcuno, come espresso dal governatore. Quando usciamo per svolgere questo tipo di attività, sappiamo perfettamente a cosa siamo esposti. Non chiediamo mai un salvataggio, se siamo in buone condizioni, ed è così che eravamo». E gli alpinisti spiegano: «La nostra intenzione era di raggiungere la cima per accedere alla parete sud e individuare più facilmente la discesa. Avevamo cibo, acqua e forza per continuare, poiché non è la prima volta che affrontiamo situazioni avverse simili a questa. E non c’è mai stato così tanto clamore. A nostro avviso, in questo tipo di arrampicata ci sono persone che a seconda delle circostanze generali impiegherebbero semplicemente 5 ore, altre 10, altre 20, altre ancora di più: tutto è molto relativo». E concludono: «Ma la realtà è che c’era una madre nervosa e preoccupata per suo figlio e con tutta la confusione e il fatto si stava ingrandendo, pur nella calma con cui ci siamo arrampicati. Ed è per questo che siamo stati costretti ad accettare il salvataggio, viste le insistenze e ripetuti interventi. E con questo non cerchiamo scontri con nessuno, esprimiamo semplicemente ciò che è accaduto nel modo più umile senza voler offendere nessuno». E concludono dicendo che anzi sono stati loro martedì sera a aiutare degli alpinisti tedeschi senza luci e le corde incastrate. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino