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BELLUNO Confermate anche in Appello le accuse a Carmelo Lo Manto, 47enne sergente maggiore originario di Canicattì (Agrigento) ed effettivo al Settimo Reggimento Alpini di Belluno, avrebbe ripetutamente insultato un collega di origine marocchina per mesi. La Corte militare di Roma l’ha condannato a 15 mesi di reclusione per diffamazione e calunnia nei confronti di un altro militare con l’aggravante razziale, riducendo di tre mesi la sentenza di primo grado pronunciata un anno fa dal Tribunale militare di Verona. «Giustizia è fatta» ha commentato, a caldo, la parte civile, il maggiore Karim Akalay Bensellam difeso dall’avvocato Massimiliano Strampelli. Ma non è finita del tutto perché manca ancora un grado di giudizio. «Attenderemo le motivazioni e poi faremo ricorso in Cassazione» ha fatto sapere la difesa dell’imputato (avvocato Antonio Vele).
LO SCONTRO
Secondo la Pubblica accusa le offese sarebbero durate per quasi 3 anni, dalla fine del 2014 fino a metà del 2017. Ogni giorno, al momento dell’Alzabandiera alla caserma Salsa, il sergente maggiore Lo Manto, che si trovava nella prima fila, avrebbe ripetuto in continuazione e a bassa voce frasi di questo tipo: «Il capitano Karim Akalay Bensellam non è degno di stare nell’esercito italiano» e «Sto marocchino ha rubato un posto in Accademia ad un italiano».
IL PROCESSO
Ora i ruoli sono invertiti. Lo Manto seduto dietro il banco degli imputati. Mentre Bensellam si è costituito parte civile. Ieri a Roma la sentenza di secondo grado con la condanna a un anno e 3 mesi. Per la difesa, avvocato Antonio Vele, «la sentenza rimane pesantissima» e ci sono molti punti da chiarire. Uno dei testi, ad esempio, aveva raccontato di aver sentito gli insulti razzisti durante l’attività fisica. È un punto su cui lo stesso imputato, ieri, ha voluto rilasciare delle spontanee dichiarazioni: «In quel periodo non ci siamo mai allenati insieme». La difesa dice di avere un documento che lo proverebbe, ossia una certificazione del Comandante del Settimo Reggimento Alpini. Un altro passaggio che contestano è la testimonianza del militare Elena Andreola. Ai giudici disse di esser stata testimone delle offese in quanto Comandante di squadra e quindi in prima fila. Anche in questo caso la difesa dice di aver prove oggettive che dimostrerebbero il contrario: «Era appena entrata e per il suo grado non poteva trovarsi in quella posizione – ha spiegato l’avvocato Vele. Vedremo se queste prove oggettive riusciranno a convincere la Cassazione». Di mezzo c’è anche un risarcimento, pari a 4550 euro. Ma soprattutto c’è il rischio di eventuali conseguenze sul posto di lavoro di Lo Manto, dopo una sentenza così è stata la prima applicazione della Legge Mancino, quella sull’aggravante dell’odio razziale, in ambito militare. A pesare sono stati anche i precedenti di Lo Manto: una condanna per reato analogo nel 2005 (venne sospeso per 9 mesi) e la sentenza di assoluzione del 2016 del capitano Bensellam in cui Lo Manto era parte civile.
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Il Gazzettino