Allarme medici di base, tra dieci anni metà se ne andrà in pensione

Allarme medici di base, tra dieci anni metà se ne andrà in pensione
Tanti pensionati e pochi specializzati. Da qui ai prossimi dieci anni si entra in area rossa. Solo tra medici di famiglia e pediatri in Veneto andranno in pensione 1.600 dei 3.200...

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Tanti pensionati e pochi specializzati. Da qui ai prossimi dieci anni si entra in area rossa. Solo tra medici di famiglia e pediatri in Veneto andranno in pensione 1.600 dei 3.200 camici bianchi e i “giovani” che riescono ad accedere alla specializzazione in pediatria o al corso triennale di medicina generale, non riescono a coprire nemmeno la metà dei posti che rimarranno liberi. Questo significa decine di migliaia di pazienti, tra adulti e bimbi, che non avranno il proprio medico di famiglia. E caricare ulteriori pazienti sui medici che rimarranno in servizio sembra impensabile. «Rifiutiamo la logica dell’aumento dei massimali, già ora un medico di medicina generale o un pediatra ha 1.500 pazienti, oltre queste cifre non si può andare. Non siamo una catena di montaggio, dobbiamo lavorare in sicurezza» dice Maurizio Scassola, medico veneziano e vice-presidente della Federazione nazionale ordini dei medici.

Per capire in prospettiva cosa accadrà basta considerare l’età media dei medici attualmente in servizio: 55 anni. Quindi è già stimato che nei prossimi dieci circa la metà andrà in pensione. Per passare al Veneto i camici bianchi in servizio nelle nove Usl regionali sono 7.010, e dal 2010 al 2015 il loro numero è stato incrementato di appena 46 unità come ha dimostrato uno studio della Cgil Funzione Pubblica. Di questi 2.857 hanno tra i 55 e i 64 anni, quindi nei prossimi dieci anni il 40% andrà in pensione. Tenendo presente che un medico va in pensione a 67 anni, un primario a 70 e un universitario a 75. «I numeri sono drammatici – prosegue Scassola – bisognerebbe incrementare di almeno mille unità l’anno i contratti per gli specializzati».
A contribuire a questa situazione un insieme di fattori: il blocco dei contratti da dieci anni e il numero dei posti di specialità nelle università insufficienti. Su questo fronte lo scorso 14 luglio il consiglio della “Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri” ha presentato una mozione al governo in cui chiede interventi immediati: mille posti in più all’anno per specializzati e il raddoppio dei posti per il corso triennale di medicina generale programmato a livello regionale. Attualmente a livello nazionale sono 6.300 i contratti di specializzazione e 900 le borse di formazione in medicina generale. A fronte di poco meno di 10mila laureati in medicina. Il che significa che ci sono ogni anno 3mila medici che non accedono alla specializzazione. Molti di loro vanno oltre confine: 40 solo in Veneto nell’ultimo anno. «Ormai si è giunti al paradosso che i nostri medici vanno all’estero – spiega Paolo Simioni, presidente dell’Ordine dei medici di Padova – mentre noi fra dieci anni avremo una carenza di circa 36mila medici, quindi salvo manovre correttive, saremo costretti a prendere medici formati fuori dall’Italia».

Parla di una programmazione scollata dalla realtà Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici di Venezia. «Bisognerebbe avere i posti di specialità pari a quelli dei laureati in medicina – spiega Leoni – servono investimenti nella sanità pubblica. Oltre ai numeri drammatici dei medici, l’Italia è anche terzultima in Europa per il numero dei posti letto. A questo si sommano i carichi di lavoro, specie nelle specialità di emergenza, con turni e reperibilità sempre più gravosi specie se si pensa che l’età della pensione è ora di 67 anni».
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Il Gazzettino