Mamma Latifa distrutta: «Mio figlio non l'avrebbe mai fatto. Qualcuno degli amici sa»

Mamma Latifa distrutta: «Mio figlio non l'avrebbe mai fatto. Qualcuno degli amici sa»
PADOVA - «Mio figlio era un bravo ragazzo. Era tranquillo, non aveva problemi a scuola, era il mio sostegno. Non aveva il coraggio di uccidersi, non l’avrebbe mai...

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PADOVA - «Mio figlio era un bravo ragazzo. Era tranquillo, non aveva problemi a scuola, era il mio sostegno. Non aveva il coraggio di uccidersi, non l’avrebbe mai fatto». Lo ripete con gli occhi persi nel vuoto Latifa Benijane, la mamma di Ahmed Joudier, poche ore dopo aver dovuto affrontare il riconoscimento del corpo del suo bel figliolo quindicenne, uscito di casa giovedì sera dopo averle stampato un bacio affettuoso sulla fronte e mai più tornato.


Non ci sono nemmeno più lacrime a rigarle il volto. Mamma Latifa le ha finite tutte e sul suo volte è rimasta solo la disperazione di una madre che ha dovuto sopportare un dolore che nessun genitore dovrebbe mai affrontare. La perdita di un figlio. Un figlio che per lei era tutto. Davvero tutto, specialmente da quando si era lasciata dal marito. Tanto che, nel delirio della sua disperazione, distesa in un divano e accerchiata da decine e decine di donne, tra amiche e parenti, inizia a urlare in arabo. Invoca il figlio. «Perché mi hai lasciato sola? Eri tu l’unico uomo di questa casa» traducono le amiche che poi tentano di riportarla alla calma.  Mamma Latifa non ha dubbi: «Qualcuno degli amici sa qualcosa sulla morte di Ahmed. Era un bravo ragazzo - insiste la donna - non aveva a che fare con la droga».
E anche il padre, che non vedeva Ahmed da molti anni, ieri mattina è spuntato sull’argine del Brenta. Anche lui ha visto il corpo senza vita del ragazzo. Ma in lui il dolore si è trasformato in vaneggiamenti, alla disperata ricerca di qualche colpevole, ha iniziato a dare la colpa della morte del 15enne alla sua ex moglie, ma senza nessun motivo, solo spinto dalla disperazione.
Quel che è certo è che, oltre alla madre, nessuno dell’enorme famiglia che è la comunità marocchina di Mortise sembra credere all’ipotesi del suicidio. E della stessa idea sono pure i vicini, italiani, che da ieri mattina non fanno altro che vedere andare su e giù dalle scale del condominio poliziotti, medici, amiche di famiglie, ragazzini e compagni di scuola di Ahmed o della sorella Hiba. «Macchè coparse! Chel toxo lì? («Macchè uccidersi! Quel ragazzo lì?» in dialetto, ndr) L’ho visto crescere. Era bravo. Girano strane voci su un gruppo di ragazzini violenti che magari l’hanno minacciato per qualcosa» commenta un anziano condòmino seduto in giardino su una delle due panchine. 
La sorella maggiore è sostenuta nel suo dolore dalle amiche del cuore. Ahmed aveva tre anni in meno di loro, insomma, per delle diciassettenni era un “bocia”, come si dice a Padova. Ma frequentando la casa di Hiba, le ragazze non hanno problemi a descrivere il 15enne come «tranquillo, pacato, gentile. Non aveva motivi per fare una cosa simile». 
E il suo migliore amico assicura che Ahmed non frequentava giri loschi. Non era proprio il tipo. Non beveva, non fumava. Non vedeva papà da tanti anni e per questo era un po’ giù. Un po’ depresso. Ma bravo». Tanto che dalla Questura hanno assicurato che il ragazzo non aveva alcun precedente, non figura neppure nelle liste dei mille ragazzi della provincia che sono stati segnalati dalla Prefettura dopo gli episodi di risse verificatisi a Padova. 
Quando la notizia della morte del quindicenne è trapelata, giusto a ora della ricreazione, nella scuola media del quartiere, la Benvenuto Cellini di via Bajardi, che Ahmed aveva frequentato fino a un paio d’anni fa, e all’istituto Bernardi, dove si era iscritto per le superiori, tra i corridoi e le aule in tanti sono scoppiati in lacrime. 

«Mai ci saremmo aspettati una cosa simile – dice Marco Antonello, uno dei vicepresidi della scuola superiore – Ahmed era un ragazzo solare e socievole, molto ben inserito nella classe. Non ci risulta che ci siano stati litigi o che fosse preso di mira da qualcuno. Abbiamo già chiamato uno psicologo che parli con i suoi compagni di classe domani (oggi, ndr). Studieremo tutte le iniziative possibili per aiutarli a superare questo trauma». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino