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PORDENONE - «Quando esco per le visite domiciliari condivido in tempo reale la posizione con mio marito». E non per una forma di carineria, l'amore non c'entra. Almeno non è la motivazione primaria. «Lo faccio perché sappia come e dove rintracciarmi in pochi istanti nel caso in cui succeda qualcosa». Giada (il nome di fantasia è usato perché la professionista che parla teme di correre ancora più rischi per la sua incolumità rivelando la sua vera identità) è una dottoressa 29enne di Pordenone. Non è in polizia, né nell'esercito, come l'incipit potrebbe far pensare. Lavora nella continuità assistenziale, viaggia casa per casa, visita pazienti. Stetoscopio, valigetta e geolocalizzatore sullo smartphone sempre acceso. Perché il mestiere del medico porta a porta è diventato anche questo: rischi, troppi.
LO SFOGO
Le immagini di Adelaide Andriani, specializzanda aggredita da un paziente a Udine, sono ancora lì. Girano nelle chat dei medici, gli occhi fissano il collo arrossato dopo il tentativo di strangolamento. È anche per questo, per quelle foto vivide, che Giada ci tiene a portare chi non vive con addosso il camice a fare un viaggio ideale nelle notti dei dottori sul campo. «La mia collega di Udine? Notizia allucinante, ma non imprevista, ahimè». Non imprevista perché di potenziali Adelaide ce n'è ogni notte. Turni da 12 ore con il favore (o sfavore) delle tenebre che Giada ha accettato e accetta ancora. Racconti che aveva rinchiuso nella sua sfera privata, ma che le mani al collo della sua giovane collega hanno fatto in modo di far uscire. «Quando ti chiamano per una visita a domicilio - spiega - tu ci devi andare. È solo il tuo dovere.
GLI EPISODI
Nessuno, fortunatamente, ha messo le mani al collo di Giada. Saranno state le accortezze in più, sarà stata fortuna. Ma di momenti di paura, la dottoressa pordenonese ne ha vissuti diversi. Ce n'è uno che rende meglio degli altri l'idea di che situazione può pararsi davanti a un giovane medico costretto per lavoro a fare il turno di guardia o peggio ad andare da un paziente a domicilio. «Sono andata a casa di una paziente con problemi di natura psichiatrica - prosegue il racconto della giovane professionista di Pordenone -. Aveva un coltello enorme sul tavolo della cucina e viveva in condizioni di totale degrado. La mia visita l'ho fatta, ma ho trattenuto il respiro per tutta la durata dell'intervento a domicilio. Sono rimasta in apnea. Appena entrata, la paziente aveva chiuso la porta a chiave alle nostre spalle. Avevo seriamente paura di non uscire più da quel posto. Grazie al cielo ero in turno con un collega, l'ho avvisato e gli ho detto che mi venisse a cercare nel caso in cui non fossi tornata in tempo». E ancora: «Erano le 23, ero da sola alla Cittadella della salute di Pordenone (la struttura del Friuli Occidentale che ospita le guardie mediche, ndr), un paziente urlava fuori dalla mia porta perché aveva bisogno di una visita. Prima di aprire la porta ho chiamato i carabinieri, per avvisarli che mi stavo trovando in una situazione di potenziale pericolo. L'idea di essere da sola, senza un portinaio, senza colleghi, mi ha veramente destabilizzato». Delle aggressioni verbali, invece, Giada non parla nemmeno. Le considera «all'ordine del giorno». Tanto per capirci. Intanto oggi in Prefettura a Udine è in programma un vertice tra il prefetto Marchesiello e le massime autorità sanitarie del Friuli Venezia Giulia dopo l'aggressione alla specializzanda 28enne.
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Il Gazzettino