Aggressione di Mogliano, la mamma del 15enne: «Avrei voluto salvarli entrambi»

Marta Novello
MOGLIANO - «Non posso giustificare quello che ha fatto, però resta sempre mio figlio. Il mio bambino. So solo che avrei voluto salvare sia lui che Marta se avessi...

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MOGLIANO - «Non posso giustificare quello che ha fatto, però resta sempre mio figlio. Il mio bambino. So solo che avrei voluto salvare sia lui che Marta se avessi potuto». A parlare è la madre del 15enne che lunedì 22 marzo ha accoltellato Marta Novello in via Marignana, a poche centinaia di metri dal quartiere dove abitano entrambi. La donna è provata, il figlio adolescente lo ha potuto vedere solo per pochi minuti venerdì scorso nell’aula del Tribunale dei minori di Venezia dove è stato interrogato prima di essere riportato nel carcere minorile di Treviso. Intanto le indagini procedono serrate, specie dopo che martedì anche la vittima 26enne ha reso agli inquirenti la sua versione dei fatti. Adesso non solo i profiler del Reparto analisi criminologiche dei carabinieri di Roma, ma anche gli esperti informatici dell’Arma lagunare lavoreranno a stretto contatto con la Procura per dare una spiegazione logica alla ferocia con cui il 15enne (accusato di tentato omicidio aggravato e tentata rapina), si è accanito sulla ragazza. Se la dinamica dell’accoltellamento e il tentativo di farsi consegnare i soldi dalla 26enne sono ormai assodati, tutt’altro che chiara è la reale motivazione alla base di un assalto così feroce. Tanto che la supplica di Marta, «Non ho denaro, ti posso dare il cellulare», sarebbe avvenuta dopo che i primi fendenti l’avevano già trafitta.


LO SFOGO
Nei primissimi giorni dopo la tragedia la madre dell’adolescente si era limitata a rilasciare poche e sporadiche dichiarazioni, chiudendosi insieme ai parenti in un silenzio gonfio di sofferenza. «Come mamma mi sono sentita profondamente in colpa per quello che è successo, per quello che ha fatto mio figlio –ha spiegato ieri–. Avrei voluto cogliere eventuali segnali, se ce ne fossero stati. Forse non sono stata capace di vederli. So solo che avrei voluto salvare sia Marta che il mio ragazzo se avessi potuto. Io non posso giustificare quello che ha fatto, ma resta mio figlio». La reale motivazione che ha spinto il 15enne a uscire di casa armato di coltello resta per il momento non chiara. Avrebbe cercato di rapinare Marta, come confermato dalla stessa vittima. Ma perché infierire per più di 23 volte sul suo corpo anche mentre i due operai cercavano di separarli?
IL MOVENTE

Il sostituto procuratore Giulia Dal Pos darà oggi l’incarico di setacciare il computer e il telefono cellulare del ragazzo alla ricerca di tracce che possano ricostruire con precisione i giorni precedenti l’aggressione. Mail, messaggi, ma anche video o post sui social in grado di mettere gli inquirenti sulla strada giusta. Il movente sarebbero stati i soldi. Fin dal primo giorno si è parlato di una rapina finita nel sangue. Eppure il quadro tracciato sia dalla vittima che dall’aggressore sembra surreale. «Sono stata aggredita da quel tizio che voleva il denaro, ma io non ne avevo –ha detto Marta agli investigatori–. Mi ha detto che voleva il portafogli, io non ce l’avevo e gli ho risposto che avrei potuto dargli il cellulare». Uno scambio di battute che però sarebbe avvenuto quando ormai la 26enne era già stata colpita alcune volte. Ma non c’è soltanto il profilo psicologico del 15enne da definire nei particolari. Su questo al momento stanno lavorando anche gli esperti del carcere minorile di Santa Bona, che dopo una serie di incontri produrranno le loro valutazioni. Quel che sarà scandagliato è anche la sua storia, il perché sia arrivato a compiere un gesto simile a due passi da casa, in pieno giorno, con la forte probabilità di essere scoperto subito. Tanto più che sebbene lui e Marta non risulta avessero alcun tipo di legame si conoscevano sicuramente di vista, abitando a pochi metri di distanza. Il compito di chiarire tutti questi elementi spetterà agli specialisti del Reparto analisi criminologiche arrivati l’altro ieri appositamente da Roma e che, con il pubblico ministero e i carabinieri trevigiani, per più di tre ore mercoledì hanno raccolto la testimonianza della vittima.
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Il Gazzettino