FRANCOFORTE - Vent’anni. Tanto ha resistito la terza generazione della Jimny, un’icona nel panorama dei Suv. Almeno finora, è stata quella più longeva...
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Che non promette nulla di diverso da ciò che è in grado di mantenere. Il Suv tascabile resta attuale e non tramonta perché cambia la mobilità. Le sue dimensioni ne fanno un veicolo adatto a ogni situazione, o quasi. Jimny è l’evoluzione a trazione integrale delle cosiddette keicar, le compattissime nipponiche. Nel 1970 arrivava a appena a 600 chilogrammi (la metà del peso attuale) e disponeva di un passo di 1,93 metri, contro i 2,25 attuali. Era a tre posti (uno in meno rispetto ad oggi), ma aveva la stessa impostazione con telaio a traliccio della generazione fresca di debutto, che vanta una maggiore rigidità torsionale. Sotto il cofano montava un motore a due cilindri da 360 cc da soli 25 cavalli, sostituito già 4 anni più tardi da un’unità a tre cilindri da 550 cc.
Nel 1977 Suzuki lanciava sul Suv il proprio primo motore a quattro tempi, il quattro cilindri da 0,8 litri e 41 cavalli. Undici anni dopo il lancio debutta la seconda generazione: è il 1981 e mercati come quello del Vecchio Continente e perfino nel Nord America, dove la sua taglia non ne impedisce un alto gradimento, manifestano interesse. La serie SJ410 diventa veramente globale non solo grazie ad un abitacolo più confortevole, ma anche ad un motore da 1.0 litri da 45 cavalli, che quattro anni più tardi diventa da 1.4 litri.
La seconda generazione, fabbricata non solo in Giappone, ma anche in Spagna e India e commercializzata con nomi diversi come Samurai o Santana, è un successo clamoroso con le sue quasi 1,7 milioni di unità immatricolate. Nel 1998 Suzuki introduce la terza generazione con la quale punta anche ai clienti “stradali”, senza sacrificare le doti nell’offroad. Malgrado la crisi e l’avvento di suv e crossover, sfiora i 920 mila esemplari venduti. Adesso comincia il quarto capitolo di una storia ancora tutta da raccontare.
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Il Gazzettino