Cassazione, auto in doppia file è reato: si rischia l'accusa di "violenza privata"

Cassazione, auto in doppia file è reato: si rischia l'accusa di "violenza privata"
ROMA - La quinta sezione penale della Cassazione (con sentenza n. 5358/2018) ha confermato la condanna di un individuo che per ripicca aveva ostruito la strada impedendo ad...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
ROMA - La quinta sezione penale della Cassazione (con sentenza n. 5358/2018) ha confermato la condanna di un individuo che per ripicca aveva ostruito la strada impedendo ad un'altra autovettura di poter ripartire sancendo il principio che bloccare la strada e impedire il passaggio a un'altra auto è violenza privata. 


La sentenza degli Ermellini (come riporta il sito studiocataldi.it) mette la parola fine ad una controversia nata da una discussione accesa tra due automobilisti. Uno dei quali decide di non spostare l'autovettura bloccando così l'altro che di conseguenza non può muoversi. La vicenda finisce in tribunale e il giudice di merito ha condannato il primo contendente per violenza privata e minaccia in danno dell'altro. La sentenza veniva confermata anche in appello.

Il condannato ricorreva in ultima istanza in Cassazione, lamentando la mancanza di motivazione in ordine agli elementi (oggettivo e soggettivo) della violenza privata, dato che dalla pronuncia impugnata non si evidenziano le ragioni per cui sarebbe stata realizzata l'ostruzione della sede stradale né l'intenzionalità dell'ostruzione stessa, che si era protratta soltanto per il tempo del diverbio insorto tra i due. In relazione al reato di minaccia, il ricorrente ha sostenuto che era stata ingiustamente attribuita valenza delittuosa a un'espressione innocua pronunciata senza intenzionalità minatoria.

La Cassazione ha ritenuto che entrambi i motivi erano infondati. Quanto al delitto di violenza privata, i giudici hanno ribadito che, ai fini della sua configurabilità, "il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione. Pertanto, anche la condotta di chi ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa realizza l'elemento materiale del reato in questione".

Di conseguenza, non vi è alcun dubbio che ciò sia avvenuto nel caso di specie, dato che che l'imputato aveva impedito all'altro automobilista di riprendere la marcia dopo l'alterco tra i due e per un apprezzabile lasso di tempo (di circa 7-8 minuti secondo i testimoni).

Sotto il profilo soggettivo, ricordano ancora dal Palazzaccio, "ai fini della configurazione del reato di violenza privata è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare: il dolo è, pertanto, generico. Ne consegue che il fatto stesso di impedire ad altri automobilisti di transitare sulla strada pubblica, o di riprendere la marcia, integra l'elemento soggettivo del reato in questione".


Ugualmente infondato è il motivo relativo alla minaccia. Le parole pronunciate dall'imputato infatti (ndr. "tanto sta faccenda non finisce qui, t'aspetto quando finisci de lavorà, cusci te la faccio vedé io, te faccio na faccia come un tamburo") avevano valenza minatoria, posto che contenevano la rappresentazione di un male, la cui verificazione dipendeva dalla volontà dell'agente. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino