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Caro direttore,
ritengo che i profughi afghani siano una cosa a parte. Ma migliaia di migranti provenienti da ogni parte si ritengono in diritto di trasferirsi in Italia, sperando di star meglio che a casa propria: sarebbe come dire, che siccome vivo modestamente, mi sento in diritto di trasferirmi a casa di Berlusconi, perché là starei meglio. Il problema non è che se arrivano sui barconi 50.000 diseredati in un anno, l' Italia non ce la fa. È proprio sbagliato il principio: non funziona più la convivenza, si creano sacche di disagio evidenti, specie nelle città e lo Stato non mi sembra in grado di far fronte al problema; sa solo noleggiare navi, affittare alberghi e fare gli interessi di cooperative nate allo scopo di accogliere i migranti. Se metà del denaro che spendiamo per una scadentissima accoglienza lo investissimo nei Paesi di provenienza, faremmo cosa utile due volte: per noi e per loro.
Gino De Carli
Caro lettore,
viviamo in un mondo percorso da forti tensioni e cambiamenti, non solo politici ma anche economici e climatici.
Cosa significa questo? Che se l'Europa, che è il primo e più immediato approdo per chi proviene dai paesi africani e asiatici, non si dota di una politica comune, seria ed efficace sull'immigrazione, ma persegue nella logica egoistica che il problema riguarda i paesi, e l'Italia prima fra tutti, dove gli immigrati sbarcano o superano i confini, ci troveremo ogni volta a fare i conti con una nuova emergenza. Oggi è l'Afghanistan. Domani sarà un altro paese.
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