Gli arbitri sbagliano come i calciatori, ma il sistema che li forma e gestisce è basato su metodi medievali
Caro direttore, leggo in questi giorni continui interventi sull'operato degli arbitri di calcio. Domenica, poi, ho assistito ad un'imbarazzante puntata di Novantesimo...
Caro direttore, leggo in questi giorni continui interventi sull'operato degli arbitri di calcio. Domenica, poi, ho assistito ad un'imbarazzante puntata di Novantesimo minuto in cui tutti, giornalisti e ospiti, si sprecavano in accuse generalizzate alla categoria e ai suoi vertici. "Troppi arbitri tra A e B, poca selezione, errori su errori". Una cosa in particolare mi ha colpito, che nessuno abbia speso una parola sul mestiere di arbitro oggi in Italia e sull'atteggiamentio dei calciatori (e dirigenti), spesso polemici e aggressivi fino all'eccesso. Quanto più rilassanti le partite del calcio inglese, dove vige il rispetto e le decisioni del direttore di gara vengono accolte con ben altro atteggiamento. È un diritto, la critica, beninteso, ma non si può pretendere di sezionare le decisioni controverse alla ricerca spasmodica dell'incapacità o della malafede. In un sistema sportivo sano si accettano le regole quanto gli errori.
Sandro Del Todesco
Caro lettore,
sbagliano i calciatori, sbagliano gli arbitri e gli errori andrebbero accettati da tutti, senza drammi e sceneggiate, come una componente del gioco (perché di questo stiamo parlando: di un gioco per quanto miliardario). Tuttavia sarebbe sbagliato chiudere gli occhi di fronte ad alcuni dati: nell'attuale stagione sono state almeno 20 le partite in cui ci sono stati errori riconosciuti dalle autorità tecniche arbitrali e nella metà dei casi è stato anche deciso di sospendere per un certo periodo il direttore di gara. Non era mai accaduto ed è paradossale che succeda proprio ora considerate le dotazioni e i supporti tecnologici, su cui i direttori di gara possono contare. Naturalmente ci sono anche ragioni tecniche: il calcio attuale è molto più veloce e fisico e questo aumenta il rischio di errori rispetto al passato. Ma credo che il tema sia anche un altro: all'evoluzione tecnologica e tecnica non ha fatto riscontro un'adeguata crescita, non solo sportiva, degli arbitri. E quando parliamo di tecnologia non dobbiamo pensare solo al Var e agli altri strumenti di cui dispongono i direttori di gara, ma al fatto che oggi tutti, spettatori e panchine, in tempo reale possono vedere e rivedere un'azione o un rigore contestati: e questo genera immediati cortocircuiti emotivi dentro e fuori il campo, accelera reazioni e contestazioni. Inevitabili quanto non semplici da gestire. Per questo servono arbitri dotati di una preparazione diversa da quella del passato. E con ogni probabilità serve anche un salto di qualità nell'organizzazione del sistema arbitrale nel suo complesso. Un arbitro di serie A o B è un professionista e come tale andrebbe trattato e gestito a tutti gli effetti, partendo dalla selezione passando per la sua formazione e il suo impegno. Al contrario il sistema attuale, incardinato intorno all'Aia, è spesso condizionato da regole medievali e di gestione fortemente personalistiche, ormai insostenibili e inadeguate. In questo, la crisi degli arbitri è lo specchio del calcio e dei suoi problemi: un mondo, inondato di denaro, in cui si cerca ipocritamente di far convivere il diavolo con l'acqua santa, la presunta purezza sportiva con gli enormi interessi economici, arretratezze e modernità. Ma ad un certo punto il giocattolo rischia di rompersi.