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Nel lavoro - condotto su 233 coppie di neosposi seguiti e analizzati per un periodo fino ai 3 anni e mezzo nelle abitudini e attitudini più intime (grado di soddisfazione matrimoniale, capacità di impegnarsi a lungo termine, relazioni extraconiugali precedenti o in corso) - gli psicologi Jim McNulty, Andrea Meltzer, Anastasia Makhanova e Jon Maner rivelano alcuni possibili indicatori «predittori di fedeltà e di infedeltà». Indizi da seguire per vederci più chiaro nel rapporto con il partner.
I TRADITORI
Ed ecco l'identikit del fedifrago. Tra le caratteristiche emerse ce n'è una che ha sorpreso gli stessi autori: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le persone sessualmente soddisfatte all'interno della coppia hanno più probabilità di cedere alla tentazione di tradire. L'ipotesi dei ricercatori è che forse in generale vivono il sesso in modo più positivo, e probabilmente si cercherebbero un amante indipendentemente da come sta andando la loro storia ufficiale. E poi c'è la bellezza, propria o dell'altro, che conta in modo diverso se parliamo di lei o di lui: risulta infatti che essere più o meno attraenti condiziona la propensione al tradimento femminile ma non quella maschile (le donne meno piacenti sono più inclini alla scappatella), mentre avere un compagno più o meno bello influenza l'uomo ma non la donna (i maschi con partner poco attraenti tradiscono più volentieri).
I FEDELI
E gli indicatori di fedeltà? La cattiva notizia è che sono un po' più difficili da individuare nella vita di tutti i giorni, mentre quella buona è che appartengono a molti e vengono naturali. Tecnicamente gli anglosassoni li chiamano Attentional Disengagement (allontanamento da una tentazione) ed Evaluative Devaluation (tendenza a minimizzare caratteristiche che potrebbero rendere appetibili altre persone). In un esperimento, sono state mostrate ai partecipanti all'indagine foto di uomini e donne molto o mediamente attraenti, scoprendo una minore inclinazione al tradimento nei partner - maschi e femmine - che subito distoglievano lo sguardo dall'immagine, come pure in quelli che subito tendevano a svalutare la persona ritratta perché «alla fine non mi sembra niente di che».
Gli scienziati tengono a dire che entrambe queste reazioni non sono atteggiamenti voluti, bensì automatici: quando praticano l'allontanamento dell'attenzione o la svalutazione, precisa McNulty, autore principale dello studio, «le persone non sono necessariamente consapevoli di ciò che stanno facendo o del perché lo stanno facendo. Si tratta di processi in gran parte spontanei, che possono essere forgiati dalla biologia e/o dalle esperienze vissute nella prima infanzia». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino