Con un cuore "calmo" diminuisce il rischio di morte: ecco la soglia di battiti ideali

Importante ricerca pubblicata oggi sulla rivista Open Heart e condotta da Salim Bary Barywani, della svedese Accademia Sahlgrenska, Università di Goteborg, che ha coinvolto...

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Importante ricerca pubblicata oggi sulla rivista Open Heart e condotta da Salim Bary Barywani, della svedese Accademia Sahlgrenska, Università di Goteborg, che ha coinvolto un gruppo di quasi 800 maschi over-50 le cui condizioni di salute sono state monitorate per 21 anni, registrando i decessi intercorsi nel tempo e le cause di morte. Intorno ai 50 anni meglio avere il cuore calmo: infatti, un adulto di mezza età con un battito cardiaco (misurato a riposo) di 75 pulsazioni al minuto (bpm) presenta un rischio di morte doppio negli anni a venire rispetto a un coetaneo che abbia un battito più lento (55 pulsazioni al secondo o meno).


La sindrome del “cuore infranto” parte dal cervello

Il rischio è maggiore per tutte le cause di morte ed in particolare per quelle cardiovascolari. In genere è considerato normale un battito compreso tra 50 e 100 pulsazioni al minuto, ma i ricercatori hanno voluto vedere se battiti più alti, pur nel range di normalità, fossero indicativi di cattive condizioni di salute e anche se variazioni del battito negli anni fossero in qualche modo influenti.

Monitorare il battito, lo strumento indispensabile per prendersi cura del cuore


Così gli esperti hanno suddiviso il campione in quattro gruppi a seconda del loro battito, misurato più volte nel corso di 10 anni: coloro che avevano 55 pulsazioni o meno; tra 56-65 bpm; tra 66-75 bpm; più di 75 bpm. Ebbene è emerso che se da adulti di mezza età i battiti al minuto raggiungono o superano il valore di 75 il rischio di morte negli anni a venire è doppio rispetto a coetanei con 55 battiti al minuto o meno. Gli esperti hanno visto anche che per le persone i cui battiti nell'arco di dieci anni restano stabili e compresi tra 50 e 60 al minuto, il rischio di sviluppare problemi cardiovascolari negli 11 anni successivi è ridotto del 44% rispetto a individui i cui battiti aumentano nell'arco di 10 anni. Per quanto si tratti di uno studio osservazionale, i ricercatori sostengono che i risultati potrebbero avere implicazioni cliniche: monitorare i cambiamenti del battito a riposo nel tempo potrebbe essere importante per scoprire un futuro rischio cardiovascolare.
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Il Gazzettino