Il dossier nascosto che salva la Tav: dal gasolio al traffico, le motivazioni fragili sulla linea Torino-Lione

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ROMA Il dossier, con tanto di verdetto negativo sulla Torino-Lione, è stato consegnato al ministero dei Trasporti il 9 gennaio scorso. Ottanta pagine di calcoli, tabelle e grafici che non danno scampo. E che il presidente della commissione costi-benefici, il professor Marco Ponti, ha fisicamente depositato nelle mani del ministro Danilo Toninelli. Non prima però di aver fatto trapelare che il giudizio è nettamente contrario al completamento dell’opera. Un risultato, quello prodotto dal gruppo di studio capeggiato da Ponti, già docente al Politecnico di Milano, scontato, visto che 5 componenti su 6 della commissione sono dichiaratamente anti Tav. E non hanno fatto nulla per smentirlo. Da tempo, del resto, si sapeva che i risultati sarebbero stato negativi proprio in considerazione del fatto che la scelta degli esperti era stata fatta dalla formazione politica, i 5Stelle, che avversa da sempre l’infrastruttura. 


Nelle 80 pagine, oltre ad indicare le metodologie seguite, si concentra l’attenzione su due punti per bocciare la Tav. Il primo, in contrasto con le analisi di altri centri studi, la Bocconi in primis, riguarda il flusso del traffico merci previsto. Per gli esperti di Ponti l’interscambio tra Italia e Francia sarebbe in calo, da qui la «non necessità di puntare sulla nuova linea ferroviaria», ma di focalizzare l’attenzione solo su quella stradale, più che «adeguata a supportare i commerci tra i due Paesi». Il flusso veicolare su terra è però ormai congestionato, visto che l’83% delle merci viene trasportata via strada, con oltre 3,5 milioni di veicoli pesanti che attraversano il confine. Solo il restante 7% transita via ferrovia, ma non perchè non esista una domanda, come sostiene la commissione del Mit, ma perchè, a giudizio dell’Osservatorio sulla Tav e di altri centri studi, non «esiste più una ferrovia che risponda alle esigenze del mercato». La commissione del Mit sottolinea del resto che la vecchia linea del Frejus - quella che la Tav dovrebbe sostituire - ha perso in 20 anni il 70% del traffico dei volumi trasportati e sta ulteriormente calando. Per Ponti questo dato rileva «l’anti economicità del trasporto via ferro». E impone quindi lo stop all’opera. In quanto i costi per completarla non sarebbero ripagati da un aumento del traffico. Non solo. Puntare sulla nuova linea ferroviaria, penalizzando l’autostrada, farebbe calare il gettito delle accise sul gasolio e i pedaggi, recando un grave danno all’erario. In sostanza, spiega la commissione, i 4,7 miliardi di euro per finire la tratta non sarebbero compensati, neanche nel lungo termine, dai benefici.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino