ROMA Il giudice Mario Lucio D’Andria non ha neppure del tutto finito di leggere il verdetto di appello, quando la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, esce dai banchi, attraversa...
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LA STORIA
La storia di questo ragazzo è stata raccontata mille volte. Il 15 ottobre 2009, Cucchi, giovane geometra con precedenti per spaccio, viene fermato dai Carabinieri mentre sembra vendere delle confezioni di hashish. I militari che lo controllano gliene trovano in tasca dodici bustine e lo portano nella stazione di Tor Sapienza, dove passa la notte in attesa del processo per direttissima che si svolge la mattina dopo nelle aule del tribunale di Piazzale Clodio. Gli otto carabinieri, che lo tengono in custodia e la mattina dopo lo accompagnano nelle celle del tribunale, non sono mai stati indagati. Sentiti a verbale hanno dichiarato che Stefano, la prima sera, aveva avuto un malore era stato necessario chiamare il 118. La mattina del 16, Cucchi arriva nelle celle di piazzale Clodio e resta praticamente solo con gli agenti della polizia penitenziaria per alcune ore. In questo lasso di tempo, si situa la testimonianza di Yaya Samura, ghanese detenuto nella cella accanto a quella di Cucchi, che dice di aver sentito il pestaggio e che il giovane glielo avrebbe confermato. Nell’aula delle direttissime, Cucchi arriva coi pantaloni macchiati di sangue, segni sotto gli occhi e difficoltà a stare seduto per quella che si scoprirà essere una frattura all’osso sacro. Dopo l’udienza, viene portato prima all’ospedale Fatebenefratelli, dove gli refertano ecchimosi e lesioni, quindi in carcere e infine all’Ospedale Sandro Pertini, dove muore il 22 ottobre.
I POLIZIOTTI
Con una scelta che ha sicuramente stupito anche le parti civili, il procuratore generale Mario Remus in aula ieri ha puntato su una nuova ricostruzione chiedendo condanne per tutti ma sostenendo che gli agenti avrebbero pestato Cucchi «dopo» l’udienza di convalida. Prima della sentenza, ieri mattina, due dei poliziotti, Nicola Minichini e Antonio Domenici hanno letto alcune dichiarazioni. «Dopo 25 anni di servizio», ha detto Minichini: «riesco a riconoscere i segni dei pugni e posso dire che quei segni sotto gli occhi di Stefano Cucchi davano più l’impressione di una malattia». Domenici, invece, ha letto una lettera in cui spiega che la sua unica colpa è essere stato in servizio la mattina del 16 ottobre.
LA FAMIGLIA
Per la famiglia di Stefano la sentenza è stato un duro colpo. «Mio figlio è morto ancora una volta», ha detto la madre, Rita Calore.
Il Gazzettino