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Non è la classica guerra dei poveri, ma ci assomiglia molto. La drammatica siccità al Nord Italia dove non piove da 112 giorni, con il Po ai livelli più bassi degli ultimi 70 anni e il record del caldo con 3-4 gradi più alti della media, sta mettendo sindaci e utility idriche di fronte a decisioni impensabili prima: ridurre le forniture per usi civili, togliere l’acqua vitale all’agricoltura, tutelare la produzione elettrica. «La Lombardia chiederà sicuramente lo stato d’emergenza», ha annunciato ieri il governatore Attilio Fontana.
Stessa richiesta arriverà dal Piemonte. Le due regioni, assieme a Veneto ed Emilia Romagna, sono le più colpite dal fenomeno tant’è che in un centinaio di comuni si ricorre alle autobotti per portare l’acqua e non pochi sindaci hanno già deciso i razionamenti, chiudendo i rubinetti la notte e limitando le erogazioni per uso agricolo. Ed è partito anche la richiesta al governo «affinché sia dato ordine ai territori con laghi e montagne di far prevalere l’utilizzo di acqua per uso umano e agricolo rispetto a quello energetico».
È proprio l’agricoltura a rischiare di pagare il danno maggiore.
CRISI NEI CAMPI
Alla luce di tutto, estremamente allarmanti sono i dettagliati report di Confagricoltura e Cia Agricoltori: per albicocche, ciliegie, pesche e susine manca ancora il 70% dei volumi d’acqua richiesti; per pere e mele l’88%. Per meloni e cocomeri si prevede una riduzione della produzione tra il 30% e il 40% che arriva al 50% per il mais e la soia. A rischio anche la coltivazione del pomodoro da industria. Soffrono pure la vite e il nocciolo. I pascoli sono allo stremo. «Persino le compagnie assicurative non contemplano più il rischio siccità tra i servizi riconosciuti», denuncia Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura. Problemi da non sottovalutare - secondo l’Autorità di bacino del Po - anche per il settore idroelettrico, perché potrebbe mancare l’acqua per raffreddare le centrali.
Il Gazzettino