«Mio figlio me l’hanno ammazzato un’altra volta». Non si dà pace Marina Conte, madre di Marco Vannini. E anche il ministro dell’Interno Matteo...
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«Guardi com’era bello e biondo - dice la donna stringendo una foto del figlio - Un angelo ucciso da cinque assassini che l’hanno lasciato agonizzare per quattro ore».
Marina, crede ancora nella Giustizia?
«Non ci credo più ormai. La Giustizia è morta. La vita di mio figlio per i giudici vale cinque anni. I carabinieri mi hanno anche buttata fuori dal tribunale perché ho protestato. L’Arma si è vergognata di aver espletato questo servizio».
Il giudice Calabria l’ha invitata a non protestare per non finire nei guai. Come si è sentita in quel momento?
«Malissimo, ora magari mi denunceranno per oltraggio alla Corte. Lo facciano: io andrò in galera e chi ha ammazzato Marco se ne starà a casa, libero».
Aveva chiesto a caldo un appuntamento a Salvini e il ministro si è schierato apertamente con voi.
«Vorrei incontrarlo con il ministro alla Giustizia Bonafede. C’è già una petizione popolare. Non mi fermerò qui. Marco in Italia e nel Mondo è diventato il simbolo della non Giustizia».
Come si spiega la riduzione della pena per l’uomo che ha sparato a suo figlio?
«C’è qualcuno in alto che protegge i Ciontoli, altrimenti non c’è altra spiegazione. Nessuno di loro sconterà un giorno di galera. Mio figlio non c’è più e l’ergastolo lo sconto io. Forse sono i Servizi Segreti a proteggerlo: non lo penso solo io, lo pensano in tanti».
Marco quella notte gridava dopo essere stato ferito dalla pistola. Si sente nelle registrazioni telefoniche del 118.
«La fermo, non mi ci faccia ancora pensare. Io e mio marito l’avremmo portato in ospedale ma i Ciontoli non ci hanno chiamato mentre Marco soffriva e implorava aiuto. Quelle persone non ci hanno dato la possibilità di poterlo salvare. L’omicidio colposo sarebbe valso se Marco fosse morto subito dopo il colpo. Non certo dopo la storia che hanno messo in piedi: tutte le perizie hanno dimostrato che mio figlio si sarebbe potuto salvare».
Secondo lei, Marina, ci sono state falle nelle attività investigative?
«La casa dei Ciontoli non è stata mai sequestrata. La maglietta di Marco non è stata trovata. Noi dobbiamo credere che a sparare sia stato Antonio Ciontoli, lui che ha fornito al pm diverse versioni? Dobbiamo credere che Marco si stava facendo il bagno nella vasca? Dobbiamo credere che loro, poverini, non si sono resi conto della gravità della situazione? E’ una cosa disgustosa, un oltraggio all’intelligenza».
Cosa si aspetta ora?
«Sono esausta ma spero che il procuratore generale Saveriano faccia ricorso in Cassazione. Attendiamo le motivazioni della sentenza. Non sono io a essere fuori di testa, sono i fatti che li inchiodano e devono pagare. Prima che Marco fosse ucciso vivevo tranquillamente e ora vado dallo psichiatra mentre i Ciontoli sono vittime, o almeno vogliono passare da tali».
Può sembrare una domanda inopportuna, ma il processo quanto vi è costato finora?
«Tantissimo. Mio marito ha sempre lavorato e pagato le tasse, adempiendo ai suoi doveri da cittadino. Un esempio: solo per acquisire tutti i documenti in procura a Civitavecchia abbiamo speso circa 9 mila euro. Figuriamoci le perizie. Lo Stato ci ha voltato le spalle». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino