Gino Paoli: «Serve subito un’opera come la Gronda, organizzerò un concertone per la città»

Gino Paoli: «Serve subito un’opera come la Gronda, organizzerò un concertone per la città»
Gino Paoli, genovese profondo che la sua città non l’ha mai voluta lasciare, la pensa così sul dramma del ponte Morandi, con una frase semplice: fatti non...

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Gino Paoli, genovese profondo che la sua città non l’ha mai voluta lasciare, la pensa così sul dramma del ponte Morandi, con una frase semplice: fatti non parole. «Le polemiche non servono a nulla. Del ponte – sostiene – se ne parlerà tanto per un po’ e poi, dopo tutta la passione che si è scatenata, ci si dimenticherà di tutto. Succede sempre così, da noi. Per questo sto pensando che bisognerà fare qualcosa».


Gino, che cosa?
«Sto pensando magari un concerto, come quello che feci dopo l’alluvione di quattro anni fa. Vennero tutti, Renato Zero, Renzo Arbore, Ornella Vanoni. Se chiamassi di nuovo, penso che succederebbe la stessa cosa. Raccogliere soldi, in questi casi, serve sempre: penso agli sfollati. Ma non lo farei subito. Meglio fra sei mesi, così servirà a risvegliare le coscienze quando si saranno addormentate, dimenticando tutto».

Fatti non parole, ma non può essere solo un concerto.
«Più fatti, meno parole. Da noi comanda sempre il concetto del “piove, governo ladro”. Qualcuno deve avere la colpa con cui prendersela e si cerca il capro espiatorio. Bisognerà, invece, ripensare rapidamente all’idea della Gronda, la città così resta spezzata in due e per la circolazione è un vero casino, perché c’è solo una strada alternativa. Ma è giusto ricordare che i genovesi, la Gronda, non la volevano. Il genovese è così, la città era contro anche alla costruzione della sopraelevata. Ma poi sono i primi a lamentarsi. Storicamente, siamo dei veri artisti del mugugno. Ai tempi, per i marinai genovesi esistevano addirittura due tipi di contratto di ingaggio sulle navi: con mugugno o senza mugugno. Naturalmente il diritto al mugugno voleva dire avere una paga più bassa».

Quando venne costruito il ponte, nel 1967, il mugugno genovese venne esercitato da qualcuno?
«No, nessuno disse nulla. Anzi, era considerata una bella opera da ammirare, tipo il Golden Gate di San Francisco, fatta da un architetto, Morandi, famoso costruttore di ponti chiamato in tutto il mondo. Criticarlo allora sarebbe stato come dire oggi che Calatrava è un cretino».

Fatti: si proverà a rimettere a posto il ponte attuale?
«La vedo difficile, aggiustarlo in presenza di uno sgretolamento. Anche se non escludo che all’origine del disastro ci possa essere stato un fulmine. Gira su internet un filmato di una persona che stava riprendendo il temporale, al momento del crollo si vedono distintamente due lampi. Potrebbero aver colpito le parti in metallo, aggravando la situazione».

Si parla molto, ovviamente, delle responsabilità e la politica, in particolare il governo, sul tema è intervenuta a mani basse.
«A me della politica non me ne frega niente. Solo penso che tutti sappiano che ogni opera ha un tempo oltre il quale non regge più. E che la manutenzione non si può affidare ai privati. È una cosa che è perfino contro quanto c’è scritto nella Costituzione, che ho studiato quando ho fatto il parlamentare: lo Stato è tenuto a pensare al benessere e alla salvaguardia dei propri cittadini. La concessionaria doveva badarci, ma lo Stato doveva sorvegliare. Non è giusto che non controlli».

Lei quel ponte lo avrà attraversato centinaia di volte, in molti nutrivano timori.
«L’idea del pericolo l’avevano in molti, me compreso».

Lei ha scritto centinaia di canzoni, il ponte le ha dato ispirazione?

«No, nelle canzoni no. Lo uso solo come metafora per dire che con le mie canzoni getto un ponte verso il pubblico». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino