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Sarà un addio? Oppure, alla fine, la tempesta minacciata sul governo da Giuseppe Conte si risolverà in un passeggero temporale estivo, col sole pronto a sbucare da dietro le nuvole della crisi? È quello che tutti si chiedono in attesa di sapere come finirà l’incontro tra il presidente del Movimento 5 stelle e Mario Draghi, fissato per domani pomeriggio a Palazzo Chigi. Un colloquio dal quale il governo potrebbe uscire rafforzato, se – come molti sono pronti a scommettere – Conte alla fine deciderà di non drammatizzare lo scontro. Ma l’esecutivo potrebbe pure essere spinto davanti a un bivio: o si cambia strada e si fa come dice il Movimento (su temi come superbonus, reddito di cittadinanza e ulteriori invii di armi all’Ucraina), oppure ognun per sé.
Il vertice
L’avvocato di Volturara Appula, nei giorni scorsi, è stato volutamente vago su quali siano le sue intenzioni. «La permanenza al governo del Movimento? Ci confronteremo con la nostra comunità e poi valuteremo». Intanto, per domani mattina, ha convocato un consiglio nazionale dei vertici del Movimento, in teoria per decidere la linea.
Ma al di là delle rassicurazioni e del ripetere che c’è «massima disponibilità» al confronto coi grillini, Palazzo Chigi è stato chiaro anche nel fissare dei paletti. «Parliamo di tutto, ma nessun dietrofront sulla linea del governo», il senso del ragionamento che il premier ha condiviso con i suoi interlocutori. «Soprattutto su nodi come le riforme e l’adesione convinta dell’Italia alla posizione occidentale sul conflitto».
La “terza via”
Ecco perché in tanti, tra i 5S “duri e puri”, premono perché Conte spinga sull’acceleratore della crisi. «Che senso ha restare, se non veniamo ascoltati? - il dubbio sempre più insistente tra i grillini - Serve solo a farci calare ancora nei sondaggi. Meglio l’opposizione».
Una “terza via”, per Conte, potrebbe essere il ritiro dei ministri dal governo e l’appoggio esterno all’esecutivo. Un modo per segnare le distanze da Draghi ma allo stesso tempo garantire i voti in parlamento, senza mandare il governo a gambe all’aria. La strada è accidentata, perché sia Palazzo Chigi che il Pd (che del Movimento vorrebbe essere l’alleato) sono stati chiari: uscita significa crisi. «Non sarò premier con maggioranze diverse», ha ripetuto Draghi solo un paio di giorni fa. Seguito sulla stessa linea da Enrico Letta: «Se si apre la crisi, ci confrontiamo alle elezioni». Oggi si è spinto ancora più avanti il ministro dem Dario Franceschini: «Se i cinquestelle staccano la spina, l’alleanza con loro è finita». L’avvertimento, a Giuseppe Conte, è arrivato. Ora tocca a lui fare la sua mossa.
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