OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Oggi Anna Claudia Cartoni avrebbe compiuto 60 anni. Invece il suo cadavere si trova adagiato - non si sa in quale punto preciso - sul fondale al largo dell’Argentario, in quel tratto di mare dove sabato 23 luglio stava facendo una gita in barca a vela con suo marito e altri quattro amici di Roma. Una gita organizzata anche per festeggiare con anticipo il suo compleanno, che Anna Claudia avrebbe trascorso sicuramente con la figlia Irene, a fianco alla quale ha dedicato gli ultimi 24 anni nel tentativo di farle vivere una vita normale nel «mondo degli altri».
Tutto è accaduto in una manciata di secondi, intorno alle 17:25, a circa 5 miglia dalla costa, nel tratto di mare che separa il promontorio dall’isola del Giglio. Gli amici stavano chiacchierando e prendendo il sole, quando all’improvviso hanno visto un motoscafo alle loro spalle che si avvicinava a forte velocità. Sembrava volare sull’acqua e procedeva nella loro direzione, come se li puntasse.
Non accennava a rallentare, né a cambiare rotta.
I TRE TESTIMONI OCULARI
Oltre a Manzo, sono tre i sopravvissuti della barca a vela: Marco Avigdor D’Alberti, ancora ricoverato nel reparto di ortopedia dell’ospedale di Grosseto, la moglie Valentina Tarantini e l’amica Miriam Lombardo. Sono testimoni oculari dell’incidente e hanno già riferito agli inquirenti la loro ricostruzione, che coincide in ogni punto. «I nostri assistiti sono ancora troppo scossi per quanto accaduto, ma vogliono fare delle precisazioni», spiegano a “Il Messaggero” gli avvocati Alessandro Benedetti, Alberto Gambino, David Terracina e Claudio Urciuoli. I tre sopravvissuti hanno precisato: «Il natante danese procedeva alle nostre spalle seguendo la nostra medesima rotta, navigava a velocità elevatissima e non ha eseguito alcuna manovra correttiva per tentare di evitare la collisione». Insomma, queste testimonianze cancellano i dubbi ventilati dal figlio di Per Horup sulla mancata precedenza che avrebbe dovuto dare la barca a vela. Sopraggiungendo da dietro, infatti, il motoscafo (che tra l’altro procedeva a una velocità 6 volte superiore) avrebbe dovuto correggere la rotta per evitare la collisione. Invece non avrebbe minimamente modificato la traiettoria, come se nessuno in quel momento stesse al timone. «È come se un camion che va a circa 60 chilometri orari tamponasse un’utilitaria che va a 10», ha precisato l’avvocato Benedetti. E, si sa, chi tampona ha sempre la colpa dell’incidente.
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino