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Ha chiesto perdono in tribunale Alessandro Maja per quanto ha fatto nella notte fra il 3 e 4 maggio dello scorso anno, quando con dei terribili fendenti ha ucciso la moglie Stefania Pivetta, la figlia sedicenne Giulia e ha ferito gravemente a martellate il primogenito Nicolò, all'epoca 23 anni, nella casa di famiglia a Samarate. Perdono per un «reato imperdonabile» ha domandato nell'aula della corte d'assise di Busto Arsizio, in provincia di Varese, dove è a processo.
Il processo
Giudicato dal perito del tribunale capace di intendere e di volere, durante le sue dichiarazioni spontanee è scoppiato in più occasioni a piangere. E incalzato dalla pm Susanna Molteni ha fatto un terribile racconto di quanto ha fatto quella notte, delle sue preoccupazioni per un errore fatto sul lavoro, per le finanze nonostante abbia ammesso che sui conti correnti aveva oltre 280mila euro. «Avevo una bellissima famiglia» ha detto l'ormai ex interior designer, che ha parlato dei problemi con la moglie, che spendeva troppo a suo dire, tanto che a causa dei suoi acquisti compulsivi la soffitta si era trasformata in un deposito.
Parole che hanno fatto uscire dall'aula il papà di Stefania, Giulio. «Non potevo ascoltare certe cose» ha detto ai giornalisti.
A Nicolò, Alessandro Maja ha chiesto perdono ma per il ragazzo è troppo presto. «Non riesco a provare odio nei suoi confronti però credo che il perdono in questo momento sia difficile». Il ragazzo è ancora «emotivamente stanco» e, come già in altre occasioni, si è presentato in tribunale con una t-shirt che ritrae i volti sorridenti di mamma e sorella. Da parte del padre pensa che «per rendere giustizia a mia madre serva di più». Certo anche lui ha confermato che in casa c'erano tensioni «ma mai avrei pensato a un epilogo del genere». E ancora manca una spiegazione convincente del perché il padre abbia deciso di sterminare l'intera famiglia: «su questo mi manca ancora una risposta esaustiva».
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Il Gazzettino