Ha chiesto perdono in tribunale Alessandro Maja per quanto ha fatto nella notte fra il 3 e 4 maggio dello scorso anno, quando con dei terribili fendenti ha ucciso la moglie Stefania Pivetta, la figlia sedicenne Giulia e ha ferito gravemente a martellate il primogenito Nicolò, all'epoca 23 anni, nella casa di famiglia a Samarate. Perdono per un «reato imperdonabile» ha domandato nell'aula della corte d'assise di Busto Arsizio, in provincia di Varese, dove è a processo.
Il processo
Giudicato dal perito del tribunale capace di intendere e di volere, durante le sue dichiarazioni spontanee è scoppiato in più occasioni a piangere.
Parole che hanno fatto uscire dall'aula il papà di Stefania, Giulio. «Non potevo ascoltare certe cose» ha detto ai giornalisti. In aula sono rimasti il fratello di Stefania, Mirko, e Nicolò, che è stato per settimane in coma fra la vita e la morte, per mesi in ospedale e ora è su una sedia a rotelle. «Adesso è facile chiedere perdono - ha detto lo zio del ventiquattrenne, visibilmente scosso -. Non nascondo che fa effetto vedere un uomo ridotto così. Ma che perdono dopo che abbiamo letto le perizie e ascoltato le modalità con cui si è accanito contro mia sorella e Nicolò, meno con Giulia, ma con loro non si è risparmiato».
A Nicolò, Alessandro Maja ha chiesto perdono ma per il ragazzo è troppo presto. «Non riesco a provare odio nei suoi confronti però credo che il perdono in questo momento sia difficile». Il ragazzo è ancora «emotivamente stanco» e, come già in altre occasioni, si è presentato in tribunale con una t-shirt che ritrae i volti sorridenti di mamma e sorella. Da parte del padre pensa che «per rendere giustizia a mia madre serva di più». Certo anche lui ha confermato che in casa c'erano tensioni «ma mai avrei pensato a un epilogo del genere». E ancora manca una spiegazione convincente del perché il padre abbia deciso di sterminare l'intera famiglia: «su questo mi manca ancora una risposta esaustiva».