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Le critiche al 25 aprile come festa che non dice più niente sono sempre venute da destra. Ma stavolta a gettare il sasso nello stagno dell'anniversario della Liberazione è una figura autorevole, di tradizione democristiana, più gradita a sinistra che a destra, e insomma stiamo parlando di Giuseppe De Rita, fondatore del Censis. Come al solito parla con schiettezza questo grande sociologo: «La verità è che, fatta eccezione per quelli che per età lo hanno vissuto a suo tempo, cioè al tempo della Liberazione, il 25 aprile è una celebrazione superata. L'Italia non ha più bisogno di ricordare l'antifascismo per evitare il fascismo».
Il che è abbastanza vero. E mai come questa volta il 25 aprile - celebrato lo scorso anno in sordina causa Covid e la sordina si ripete quest'anno - è difficilmente utilizzabile, come sempre è accaduto nei decenni e negli anni scorsi, come evento utile a denunciare una qualche «emergenza democratica» incombente e a fermare la minaccia di un eventuale e improbabilissimo ritorno del fascismo fuori tempo massimo. Non è utilizzabile come un'arma da guerra politica contingente questo 25 aprile perché cade in un momento in cui i partiti governano quasi tutti insieme, in cui il Truce (cioè Salvini considerato erede non solo semantico del Duce dalla sinistra più accecata in questi anni) sta nello stesso esecutivo degli eredi di partiti resistenziali come il Pci e la Dc (stiamo parlando del Pd) e la destra della Meloni è all'opposizione ma è una destra non riconducibile in alcun modo al passato e che fa un'«opposizione patriottica» e non certo estremistica.
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MANCA IL NEMICO
Lo stesso Berlusconi viene considerato ormai una sorta di innocuo zio della patria e non è più il Cavaliere Nero. Quello contro cui, quando vinse la prima volta il 21 marzo del 94, un corteo del 25 aprile gli si scagliò contro al grido: «Ora e sempre Resistenza». E comunque oggi la Liberazione più che quella del 25 aprile è quella del 26 aprile, quando si riprirà un po' l'Italia sotto Covid. Quanto al 1945, incalza De Rita: «Quel 25 aprile è un evento che alla maggior parte dei ventenni non dice niente. La cosa non interessa più». Basti vedere i filmati su YouTube, per rendersi conto della scarsissima dimestichezza dei giovani con il 25 aprile. Quando vengono interpellati molti di loro rispondono così: «Una festa, sì, ma per festeggiare che cosa non lo so proprio», «E' la festa di quando cacciammo gli austriaci?», «Mi sa che è la festa della fine del Papato. O era successo prima?», «Il 25 aprile? L'importante è che si festeggia qualcosa», «Quella data? Boh, non so. Guardi mi interroghi in geografia che me la cavo meglio».
DI PARTE O NO
Ma uno storico di gran valore, come Emilio Gentile non concorda con De Rita.
Concorda invece con De Rita un altro storico, Franco Cardini. «I giovani non sono affezionati a quell'evento - osserva Cardini - forse anche perché la scuola non lo ha saputo trattare in questi decenni. Ne ha dato una lettura manichea: la vittoria dei buoni contro i cattivi, della purezza dell'antifascismo contro la barbarie fascista. Le cose sono molto più complesse e sfumate. Ci è voluta un'infinità di tempo per raccontare, e non lo si fa a sufficienza, per esempio l'esistenza della cosiddetta zona grigia. Quella di chi non stava né da una parte né dall'altra e aspettava gli eventi. Si è fatto credere che gli italiani fossero stati tutti partigiani, tra il 43 e il 45. Grande balla». Quindi? «Quando i giovani - incalza Cardini - subodorano la tendenziosità ideologica, si ritraggono e si insospettiscono. La troppa propaganda a favore ha finito per allontanare dal 25 aprile tanta gente, di tutte le età. Sta a noi riavvicinarla, laicamente, insegnando bene e senza caricature quel pezzo di storia importantissimo».
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Il Gazzettino