«Piva, corruzione di inusuale gravità: magistrato asservito al Consorzio»

Maria Giovanna Piva
VENEZIA - È «solido ed esauriente» il quadro indiziario a carico dell'ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, accusata dalla Procura di essere stata...

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VENEZIA - È «solido ed esauriente» il quadro indiziario a carico dell'ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, accusata dalla Procura di essere stata al soldo del Consorzio Venezia Nuova. Lo scrive il Tribunale del riesame nelle motivazioni del provvedimento con cui le ha concesso gli arresti domiciliari, ritenendo che non lavorando più a Venezia dal 2008 (dopo il trasferimento a Bologna) la misura cautelare meno afflittiva sia sufficiente ad evitare «il ripristino di quelle relazioni e di quelle situazioni che l'hanno coinvolta per anni in questa attività criminosa». Nel provvedimento si rileva che «la ricostruzione del quadro indiziario configura, in modo univoco, un reato di corruzione di inusuale gravità; la Piva infatti non ha compiuto solo qualche atto di favore in cambio di somme di denaro, ma è andata oltre, consegnando la gestione del suo ufficio non tanto a soggetti terzi, quanto piuttosto al personale e ai tecnici dell'ente controllato». Un vero e proprio «asservimento dell'Ufficio Pubblico agli interessi privati, ricompensato con un flusso costante di denaro». Il Tribunale scrive che il Magistrato alle acque fu lasciato per soldi «in mano ad un gruppo di privati che ha potuto così delinquere in varie forme per un periodo di tempo durato molti anni».


Dalle indagini emerge che la dottoressa Piva ha accettato che «all'interno del Mav operassero dipendenti dello stesso ente controllato e percependo da Mazzacurati e dai suoi collaboratori flussi di denaro costante». L'allora presidente del Consorzio ha riferito ai magistrati di aver retribuito la Piva con 400mila euro all'anno e l'ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha raccontato di essersi occupato di corrispondere metà di quella somma. L'allora presidente del Mav sarebbe stata ricompensata anche attraverso l'assegnazione, da parte della Regione Veneto, del collaudo dell'ospedale di Mestre, per oltre 300mila euro. La Piva, assistita dall'avvocato Emanuele Fragasso, ha respinto ogni addebito, ammettendo soltanto di aver fatto parte della commissione di collaudo dell'ospedale, ma nessuna corruzione: sostiene, infatti, di essere stata sempre in contrasto con il Cvn. Quanto al personale del Consorzio utilizzato dal Magistrato, ha spiegato che serviva per far fronte alla carenza di organico. Versione che, secondo il Riesame, sarebbe smentita dai documenti rinvenuti nel computer dell'ingegner Brotto, responsabile della progettazione del Mose, ma anche dalle dichiarazioni dell'ex vicedirettore del Cvn, Roberto Pravatà, secondo il quale l'80% degli atti formalmente redatti dal Mav «erano in realtà prodotti da personale del Cvn», e la Brotto avrebbe «redatto perfino i voti che sarebbero stati espressi dai componenti del Comitato tecnico, poi integralmente recepiti nel documento ufficiale del Mav». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino