Un settore da anni deregolarizzato, che altrove non registra certo fila di aspiranti facchini. Ma che a Venezia, complici la conformazione della città con i suoi ponti e il...
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Miscela esplosiva, frutto anche di una regolamentazione che, di fatto, non prevede regole. É dal '94, ormai, che lo Stato ha deregolarizzato il facchinaggio. Non serve più alcuna autorizzazione, basta comunicare l'inizio dell'attività alla Questura e si può cominciare. L'autorità di polizia ha poi due mesi di tempo per impedire l'attività, a fronte di precedenti penali per reati molto gravi. Eventualità, di fatto, mai verificatasi a Venezia. Per il resto, non ci sono limiti al numero delle prese d'atto, né esiste un tariffario. Il facchino può aprirsi una partita d'Iva o organizzarsi in cooperative. Attività libera, insomma, su cui anche il Comune non ha voce in capitolo. «Il facchinaggio è tra le attività espressamente previste dalla legge come libere - spiega l'assessore al commercio, Carla Rey - Il Comune non è minimamente coinvolto».
Éal commissariato di San Marco che arrivano le comunicazioni di inizio attività, sempre più numerose negli ultimi anni. Un fenomeno legato anche alla crisi - osservano in commissariato - che spinge tante persone (spesso straniere) a cercare lavoro in un settore comunque alimentato dai milioni di turisti che si riversano a Venezia. Una comunicazione di inizio attività, d'altra parte, non costa nulla. Se poi arriva un posto in fabbrica, o altrove, si lasciano strade e valigie. Libertà massima, dunque, ma anche concorrenza massima. E dopo il problema dei mendicanti molesti, una potenziale "guerra" tra regolari è dietro l'angolo.
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Il Gazzettino