Passeggiata sul tetto finisce in Questura

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UDINE - La bandiera del Friuli e quella di Che Guevara, tutti gli stendardi dell'Anpi e dei sindacati: a salutare Luciano Rapotez non mancava nessuno. Compresi gli ultimi due sindaci (Sergio Cecotti e Furio Honsell) di quella Udine che lo aveva adottato nella sua terza vita. Dopo quella da perseguitato (prima partigiano, poi vittima di un errore giudiziario e di torture indicibili) e quella da emigrante in Germania, da pensionato a Udine era diventato la colonna dell'Anpi.

E le sue esequie laiche hanno mostrato la gratitudine per la sua inesauribile generosità. Mai animoso neanche coi suoi aguzzini, che al massimo chiamava (come i fascisti) «'sti manigoldi», «é stato un esempio ineguagliabile» ha spiegato Honsell: «Già a 16 anni capì l'imbroglio fascista e per tutta la vita é stato testimone dei valori per cui ha combattuto. Con semplicità e rigore ci ha fatto capire quale privilegio sia per noi vivere in una società democratica. In lui prevaleva sempre l'umanità, l'ironia». Il suo messaggio «deve farci vivere quotidianamente l'opposizione a ogni rigurgito antifascista. Senza compromessi, senza tentennamenti».
L'elogio funebre é stato tracciato da Luigi Raimondi Cominesi, solo due anni più giovane di Rapotez, che stava per toccare quota 95: «Volevamo cambiare le cose in meglio ma dopo la Liberazione invece di pensare all'Europa unita si imbastì la guerra fredda. E non fu un periodo felice».
Per Luciano «vi fu la somma infamia della tortura - ha ricordato Moni Ovadia nel messaggio di cordoglio inviato alla famiglia - e la sua vita è stata un esempio di lotta per la civiltà. È nostro dovere portare avanti la sua lotta». E la segreteria nazionale Anpi non è da meno nel ricordare che «lo Stato ha finito per essere irriconoscente e ingiusto verso uno dei suoi cittadini più integri e degni, l'esempio di un'Italia migliore». Messaggio letto da Federica Vincenti, la nipote di Federico, con cui Rapotez ha retto per cinque lustri i destini dell'associazione dei partigiani friulani: e che lo ha preceduto di un anno nel viaggio verso il fronte da cui non si torna.
«Abbiamo perso un amico, un compagno, un cittadino - ha chiuso Raimondi prima delle note di "Bella Ciao" intonate dal Coro dell'Anpi -, che in associazione entrava per primo ed era sempre l'ultimo a spegnere la luce».
Compito di tutti i partigiani di ieri e di oggi far sì che quella luce rimanga accesa.
Walter Tomada


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Il Gazzettino