Orfano del papà, sognava di guidare le ambulanze

Orfano del papà, sognava di guidare le ambulanze
«Ci aveva detto che voleva diventare conducente di ambulanze». Era questo il sogno di Mattia Monesi, 18 anni, di Stienta, Rovigo, studente all'Enaip di Ferrara. Un'aspirazione...

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«Ci aveva detto che voleva diventare conducente di ambulanze». Era questo il sogno di Mattia Monesi, 18 anni, di Stienta, Rovigo, studente all'Enaip di Ferrara. Un'aspirazione in linea con il suo carattere: esserci per gli altri, mettersi a disposizione, aiutare. Ieri mattina gli amici del suo gruppo scout erano distrutti, dopo la tragedia il rientro è stato immediato. Nessuno aveva più voglia di partecipare ad un'uscita di reparto che avrebbe dovuto essere un momento di gioia.

«Era entrato negli scout a 8 anni, l'età minima - raccontano gli amici - Per gli altri c'era sempre». Era un ragazzo serio, Mattia. Riflessivo. Forse un po' introverso, ma in senso positivo. «Era una persona - prosegue il ricordo degli amici - che pensava bene a cosa dire, prima di parlare. Introverso? Forse. Ma introverso il giusto, è il caso di dire». Un tratto del suo carattere derivato molto probabilmente dalla perdita precoce del padre, che se ne è andato quando Mattia aveva sette anni. Era maturato in fretta, il ragazzo. Aveva visto la madre fare ogni sforzo per non fargli mancare nulla. E a propria volta aveva deciso di impegnarsi a fondo per aiutare gli altri.
«Era con noi da poco, ma si era subito distinto come un ragazzo bravissimo e molto serio» raccontano al telefono dal gruppo di volontariato "Barbara" di Santa Maria, che si occupa di trasporto e assistenza a malati e disabili. «Mattia - proseguono - aveva conseguito in poco tempo tutte le qualifiche e le certificazioni necessarie a lavorare con noi. Siamo sconvolti». «Non mi ricordo di averlo mai visto malato». Don Giancarlo Berti, parroco di Stienta, conosceva benissimo Mattia Monesi. Come conosceva benissimo la sua famiglia. Nel 2002 Mattia ha perso il padre. «Sono passati 12 anni - ricorda il sacerdote - Suo padre morì di malattia. E Mattia rimase segnato da quell'esperienza. A volte lo vedevi che si assentava un attimo, si allontanava, aveva bisogno di stare un attimo per i fatti suoi».

L'altro ricordo forte di don Giancarlo è quello della mamma di Mattia. Che descrive come una vera e propria eroina. «È la parola giusta - conferma - Ho ancora in mente queste mattine di inverno, quando prestissimo passava a lasciare il piccolo a scuola per correre a Ferrara dove lavora. Ha fatto ogni sforzo, ha lavorato sino a spaccarsi la schiena per fare in modo che a suo figlio non mancasse nulla».
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Il Gazzettino