Ha finalmente un nome il misterioso imprenditore al centro di quello che è stato subito definito «lo scandalo #MeToo britannico». Si tratta di sir Philip Green,...
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Facendo leva su un antico privilegio parlamentare, l'ex ministro laburista e ora membro della Camera dei Lord, Peter Hain, ha invece rivelato il nome di Green. A spingerlo, ha spiegato Hain in un intervento ai Lords, la richiesta che gli era giunta «da qualcuno intimamente coinvolto nella vicenda di un potente uomo d'affari che sta usando accordi di riservatezza e sostanziose somme di denaro per nascondere la verità su una serie di gravi e ripetute molestie sessuali, insulti razzisti e vessazioni che stanno compulsivamente continuando». La storia è quindi di «interesse pubblico».
Green ha «categoricamente e totalmente negato» qualsiasi notizia che faccia riferimento a suoi eventuali comportamenti fuori dalla legge. Ma la bufera nel Regno Unito imperversa, con media ed esponenti politici che invocano gli venga ora revocato il titolo di sir concesso a suo tempo dalla regina con il cavalierato d'onore. Il tycoon della moda ha quindi rifiutato di commentare i procedimenti in corso o l'intervento di Hain, che ha reso di dominio pubblico il suo nome, con potenziali ripercussioni sugli affari di Topshop.
L'ex ministro laburista ha fatto ricorso all'antico istituto del privilegio parlamentare, che consente ai membri delle due Camere di poter dire all'interno delle mura parlamentari ciò che vogliono, senza essere querelati. Il dibattito sui media sembra ora essersi spostato non tanto sulla vicenda delle presunte molestie, quanto sull'opportunità o meno di mantenere in vita il privilegio usato da Hain, perché questo metterebbe i parlamentari al di sopra della legge. Come hanno commentato alcuni osservatori, si tratta del classico caso in cui, quando il dito punta alla Luna, c'è chi si mette a fissare il dito. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino