Dare la caccia all’assassino del giornalista americano James Foley e liberare, se possibile, alcuni degli ostaggi nelle mani di Isis. È questo l’obiettivo del...
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LE VENE DELLA MANO
Un altro sistema consiste nello studio del reticolo di vene sulla mano del terrorista che appare nel video. «La raccolta di informazioni come il gruppo sanguigno e il Dna, così come le registrazioni della voce ci aiutano a individuare “John il jihadista” perché possono essere confrontate con dati già esistenti», spiega la fonte del Mail, osservando che le informazioni verranno poi processate nel quartier generale del governo per le comunicazioni segrete a Cheltenham, che dispone di una banca dati. Il loro compito potrebbe essere reso più semplice dal fatto che un esperto di analisi dei video di Leicester, Eliot Higgins, dopo una minuziosa analisi del video della decapitazione di Foley avrebbe individuato il luogo esatto in cui è avvenuta. E soprattutto, il confronto dei dati appare agevolato dal fatto che di uno dei principali sospettati di essere l’uomo vestito di nero che lancia il messaggio di minaccia agli Stati Uniti con un forte accento londinese esistono già altre registrazioni. Si tratta infatti dell’ex rapper Abdel Majed Abdel Bary, la cui musica era stata trasmessa da Bbc Radio 1 prima che nel 2013 decidesse di partire per la Siria. Parlando alla Cnn, l’ambasciatore Westmacott ha confermato che «non siamo lontani» dall’identificazione dell’assassino di Foley, ma ha messo in evidenza come «il problema vada al di là di un terribile criminale», visto che «ci sono 500 britannici che si sono diretti in Siria o in Iraq per prendere parte alla jihad», oltre a quelli provenienti da altre capitali europee.
LIBERATI
Ieri però sono arrivate dalla Siria due buone notizie: due ostaggi sono stati liberati. Il primo è il giornalista statunitense Philip Curtis, che era scomparso nel 2012, ma che presumibilmente era stato rapito da qualche gruppo diverso dall’Isis. Il secondo è un ventisettenne tedesco, che - si è appreso ieri - è stato recuperato dall’unità di crisi di Berlino. Ufficialmente non sarebbe stato pagato alcun riscatto, ma secondo indiscrezioni della stampa tedesca la Germania avrebbe versato invece diversi milioni di euro. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino