OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Eitan, per ora, resta in Israele. E in attesa delle prossime udienze - previste a partire dall'8 ottobre - si dividerà, alternativamente per 3 giorni a settimana, tra le famiglie: sia quella paterna sia quella materna. Questo l'intesa «temporanea» - favorita dalla giudice Iris Itolovich Segal del Tribunale della famiglia di Tel Aviv - raggiunta tra le parti al termine di una udienza durata circa 2 ore a 4 mesi esatti dalla tragedia del Mottarone che ha visto Eitan unico superstite. Le famiglie hanno dunque convenuto una strategia - come hanno ripetuto gli avvocati parlando con i giornalisti al termine dell'assise - volta a mantenere «la privacy del bambino, che in questo momento ha bisogno di tranquillità» e di cui vanno protette «sicurezza ed integrità».
«Non pubblicheremo - hanno aggiunto anche in ottemperanza a quanto previsto dalle norme israeliane per questo tipo di dibattimenti - nessuna informazione nè sul contenuto dell'udienza nè sulle condizioni di salute di Eitan e chiediamo alla stampa di fare altrettanto». Un «silenzio stampa» subito rispettato dai protagonisti della vicenda. Nè Aya Biran - la zia affidataria in Italia della tutela legale di Eitan che all'arrivo in Tribunale aveva rivendicato di «voler riportare al più presto Eitan a casa» - nè il nonno materno Shmuel Peleg - indagato a Pavia per sequestro di persona - hanno fatto commenti, pur assediati da decine di giornalisti assiepati davanti l'aula nel piano sotterraneo del Tribunale.
In aula - sempre secondo fonti italiane - sono stati solo Aya Biran e Shmuel Peleg, con una breve parentesi quando sono state ammesse la nonna materna - ed ex moglie di Shmuel - Etty Cohen Peleg e sua figlia Gali, sorella di Tal, madre di Eitan morta sul Mottarone insieme al marito Amit. Entrambe - come tutti i familiari presenti, a partire da Aya - sono apparse provate e scosse, al limite della tensione. Gli unici commenti per ora sono arrivati dall'Italia dove gli avvocati dei Peleg li hanno descritti «contenti» della decisione scaturita da Tel Aviv. Una conclusione - ha detto l' avvocato Sara Carsaniga, legale sul fronte civile di Shmuel Peleg - che «va in un senso molto positivo, perché il giudice ha posto l'interesse del minore al centro, per un rapporto paritario con entrambi i rami familiari, rapporto che al ramo materno è stato sempre negato».
Il bambino, ha proseguito il legale, «ha una famiglia composta da due rami e tutti hanno diritto di capire assieme cosa è meglio per il minore». «Noi ora - ha sottolineato - accogliamo con gioia il fatto che il giudice in Israele sta applicando la Convenzione dell'Aja nell'interesse del minore», ha aggiunto. Nelle «due ore di udienza» a Tel Aviv - ha spiegato - «si è posto al centro il bambino ed è stata data una rappresentazione della situazione e del suo interesse». Da parte dei Biran, appare intatta la speranza che nelle udienze di ottobre sia stabilito che il bambino torni in Italia in base alla Convenzione dell'Aja sulle sottrazioni internazionali di minori. Il marito di Aya Biran, Or Nirko, a quanto pare, potrebbe partire a breve per Israele per incontrare il nipote. Ora e fino ad ottobre su Eitan e le sue famiglie scenderà il silenzio stampa.
Leggi l'articolo completo suIl Gazzettino