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Una corsa contro il tempo, militare e diplomatica, per salvare 100mila afghani e un migliaio di occidentali che rischiano di restare in trappola nell’Emirato islamico dell’Afghanistan governato dai Talebani e che a partire da domani, allo scadere della data-capestro del 31 agosto fissata come ultimo giorno del ponte aereo da Kabul, resteranno nel Paese, senza protezione, sotto il nuovo regime. Con un’aggravante che è un paradosso, ovvero che per salvarli è necessaria la collaborazione di coloro dai quali vogliono essere salvati, i Talebani stessi. Finora la collaborazione c’è stata, se è vero che anche i raid americani sono possibili grazie all’avallo, se non al contributo attivo, degli studenti coranici.
La diplomazia
È questo lo scenario che non solo gli americani ma i leader europei stanno affrontando. Il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, dice che le forze Usa sono in grado di «far arrivare all’aeroporto di Kabul i circa 300 americani» che mancano all’appello e «metterli sugli aerei nel tempo che resta». Altri 280 però resteranno o sono ancora indecisi se partire. E saranno un bel rompicapo per la Casa Bianca. E restano 150 britannici più altri 800 afghani che hanno collaborato col Regno Unito. E se i Talebani cercano di convincere il mondo che sono cambiati e garantiranno i diritti delle donne e degli artisti, la brutale esecuzione di un cantante folk (gli stessi Talebani hanno però promesso di punire l’assassino) e la decisione di vietare le classi miste all’Università sono segnali contrastanti.
Ecco allora che gli Stati Uniti si fanno promotori dell’appello di un centinaio di Paesi ai Talebani perché mantengano la promessa di garantire a chiunque la possibilità di lasciare in sicurezza l’Afghanistan anche oltre domani. «Siamo tutti impegnati – si legge nel documento - ad assicurare ai nostri cittadini, nazionali e residenti, impiegati, afghani che hanno lavorato con noi e a quelli in pericolo, di continuare a viaggiare liberamente verso destinazioni estere. Abbiamo ottenuto garanzie dai Talebani che tutti i cittadini stranieri e gli afghani con visti dei nostri Paesi saranno autorizzati a procedere in modo sicuro e ordinato verso i punti di partenza».
L’appello, reso pubblico da Sullivan alla Cnn, si conclude con la promessa americana di continuare a rilasciare visti (anche se non ci sarà presenza diplomatica a Kabul ma a Doha, in Qatar) e a muovere «tutte le leve possibili» perché i Talebani facciano quello che hanno promesso.
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A sostegno degli Stati Uniti, si muovono i leader europei. Boris Johnson fa dipendere il riconoscimento dell’Emirato e lo sblocco dei «miliardi di sterline attualmente congelati, dai fatti e non dalle parole» degli studenti coranici: libero passaggio alla frontiera per chi ha il visto e rispetto dei diritti delle donne. Londra promette di aumentare gli aiuti allo sviluppo fino a quasi 400 milioni di dollari. Il presidente francese Macron, in visita in Iraq e ieri a Mossul, ha annunciato di voler presentare insieme al Regno Unito una risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per creare una “safe zone”, una zona franca a Kabul sotto la protezione delle Nazioni Unite per gli afghani che vogliono partire. La Cina, infine, invita gli Usa a «guidare in modo costruttivo» il nuovo regime. Insomma, a dialogare.
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Il Gazzettino