ROMA I correttivi alla riforma Fornero inseriti nel programma di governo hanno costi probabilmente non lontanissimi da quelli preventivati dallo stesso esecutivo (che si è...
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LA PROPOSTA
La proposta governativa prevede oltre a quota 100 anche il pensionamento con il solo requisito contributivo (quindi indipendentemente dall’età) per il quale sono richiesti 41 anni e mezzo di versamenti. Nei conteggi sono incluse le ulteriori specificazioni della proposta fatte dal professor Alberto Brambilla, estensore dell’originaria proposta previdenziale della Lega. Si tratta di vincoli che puntano a ridurre l’impatto finanziario del nuovo assetto: ricalcolo contributivo del trattamento previdenziale, limitatamente agli anni che vanno dal 1996 al 2011, per coloro che scelgono la nuova uscita anticipata e possibilità di utilizzare solo due anni di contributi figurativi (salvo quelli per maternità e servizio militare). Inoltre si presuppone che non venga rinnovata l’opzione dell’Ape sociale, voluta dal precedente governo, che permette ma solo fino a quest’anno l’uscita dal lavoro a 63 anni, ma solo per particolari categorie.
Chi sarebbero i beneficiari principali delle nuove regole? Decisamente favoriti appaiono coloro che disponendo di 41,5 anni di contributi potranno uscire circa due anni prima rispetto a quanto richiesto dalla normativa attuale, che per quanto riguarda i lavoratori uomini fissa l’asticella della pensione anticipata a 43 anni e 3 mesi di carriera. Queste persone di fatto lascerebbero il lavoro anche a 59-60 anni di età. Un buon vantaggio si prospetta anche per chi maturando quota 100 a 64 anni potrà accedere alla pensione 3 anni prima rispetto alla soglia dell’età di vecchiaia (67 anni), che è il loro unico traguardo con la legge Fornero. In entrambi i casi si tratta in linea di massima di persone che hanno lavorato in modo stabile e continuativo per molti anni: sono profili che si trovano più facilmente nelle Regioni settentrionali del Paese e nel settore pubblico.
LE CATEGORIE
Al contrario non si annunciano novità positive per chi ha avuto carriere più brevi e caratterizzate da buchi contributivi, che non permettono di arrivare a 36 anni di contribuzione complessiva. E sulla carta sembrerebbero addirittura sfavorite particolari categorie deboli: come i disoccupati o i lavoratori che hanno avuto lunghi periodi di malattia: per loro - non essendo validi i contributi figurativi legati alla cassa integrazione o appunto alla malattia o alla disoccupazione - il regime potrebbe diventare più sfavorevole rispetto all’Ape sociale. Nei casi peggiori l’uscita slitterebbe dai 63 ai 67 anni.
Quanto ai costi dell’operazione, il calcolo di Tabula li stima a 6,5 miliardi per quanto riguarda la sola quota 100, a cui se ne aggiungerebbero altri 4,8 per l’uscita contributiva: in totale dunque 11,3 miliardi se entrambe le opzioni fossero implementate. A ridurre l’esborso per lo Stato contribuirebbe come già detto il ricalcolo contributivo di una parte della carriera, che comporta per gli interessati una decurtazione dell’importo oscillante tra l’8% e il 12%. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino