Blues in Villa, teatro Verdi esaurito e standing ovation per Steve Gadd

Blues in Villa, teatro Verdi esaurito e standing ovation per Steve Gadd
PORDENONE - E’ stata davvero un’accoglienza trionfale quella tributata dal pubblico a Steve Gadd. Teatro Verdi esaurito in ogni angolo ormai da giorni e decine di...

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PORDENONE - E’ stata davvero un’accoglienza trionfale quella tributata dal pubblico a Steve Gadd. Teatro Verdi esaurito in ogni angolo ormai da giorni e decine di appassionati di Veneto e Friuli accorsi a Pordenone, grazie a “Blues in Villa”, per ascoltare uno dei batteristi più richiesti a livello internazionale. Gadd, che proprio lunedì compiva gli anni, ha alle spalle un invidiabile percorso che lo ha portato ad affiancare, nel corso di almeno trent’anni, musicisti del calibro di Eric Clapton, Paul Simon, James Taylor, Pino Daniele, Michel Petrucciani e Frank Sinatra.


Non esagera chi sostiene che nei dischi uscita dagli anni Ottanta in poi è facile trovare il batterista di Rochester. E, dopo aver visto le quasi due ore di musica al Verdi, il motivo è facile da intuire. Gadd ha elaborato un cura maniacale del suo strumento, con un suono pulito che spazia in frequenti cambi di tempo e di contesto. Una precisione impeccabile, un’energia elegante che trasforma la sua musica in un imperdibile e piacevole itinerario tra i ritmi. Da una parte accenti Tex-Mex, dall’altra intuizioni di tango, il funky più elegante che cede il passo al blues e agli immancabili spunti africani. Decisiva, in tal senso, è la scelta dei compagni di viaggio, vere e proprie personalità che, a loro volta, hanno lavorato per grandi interpreti (Frank Zappa, Miles Davis e Joni Miichell tanto per capire). Stiamo parlando del trombettista Walt Fowler, del bassista e compositore Jimmy Johnson, del chitarrista Michael Landau e del più giovane tastierista Kevin Hays.
Gadd, apparso fin da subito in stato di grazia, ha proposto soprattutto i brani del suo ultimo lavoro “Steve Gadd band” includendo di volta in volta alcuni significativi tributi come “Duke’s Anthem” dedicato alla memoria di George Duke e una curiosa rilettura di “Windup” di Jarrett. Da questo azzeccato contesto compositivo, tra lui e i suoi strepitosi musicisti, si è materializzato uno spaccato molto significativo della musica americana. Un quadro d’insieme dove il virtuosismo è sempre rimasto strettamente ancorato all’eleganza esecutiva.

Pubblico a dir poco entusiasta con un toccante messaggio di buon compleanno sul palco e relativa torta di auguri. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino