PORDENONE - E’ stata davvero un’accoglienza trionfale quella tributata dal pubblico a Steve Gadd. Teatro Verdi esaurito in ogni angolo ormai da giorni e decine di...
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Non esagera chi sostiene che nei dischi uscita dagli anni Ottanta in poi è facile trovare il batterista di Rochester. E, dopo aver visto le quasi due ore di musica al Verdi, il motivo è facile da intuire. Gadd ha elaborato un cura maniacale del suo strumento, con un suono pulito che spazia in frequenti cambi di tempo e di contesto. Una precisione impeccabile, un’energia elegante che trasforma la sua musica in un imperdibile e piacevole itinerario tra i ritmi. Da una parte accenti Tex-Mex, dall’altra intuizioni di tango, il funky più elegante che cede il passo al blues e agli immancabili spunti africani. Decisiva, in tal senso, è la scelta dei compagni di viaggio, vere e proprie personalità che, a loro volta, hanno lavorato per grandi interpreti (Frank Zappa, Miles Davis e Joni Miichell tanto per capire). Stiamo parlando del trombettista Walt Fowler, del bassista e compositore Jimmy Johnson, del chitarrista Michael Landau e del più giovane tastierista Kevin Hays.
Gadd, apparso fin da subito in stato di grazia, ha proposto soprattutto i brani del suo ultimo lavoro “Steve Gadd band” includendo di volta in volta alcuni significativi tributi come “Duke’s Anthem” dedicato alla memoria di George Duke e una curiosa rilettura di “Windup” di Jarrett. Da questo azzeccato contesto compositivo, tra lui e i suoi strepitosi musicisti, si è materializzato uno spaccato molto significativo della musica americana. Un quadro d’insieme dove il virtuosismo è sempre rimasto strettamente ancorato all’eleganza esecutiva.
Pubblico a dir poco entusiasta con un toccante messaggio di buon compleanno sul palco e relativa torta di auguri. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino