MOGLIANO Quanto ci costa sopravvivere in un mondo violento che normalizza la violenza, che ingabbia gli esseri viventi in rigide gerarchie, che esalta una razionalità priva...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LO SGUARDO
Il suo uomo-scimmia che ondeggia sul palco con una giacca lunga alla Charlot, zazzera arruffata e sguardo stralunato, sa che deve «deporre ogni resistenza e dimenticare» ciò che è stato. E con gridolini striduli, grugniti e grattatine improvvise - magnifico il lavoro sul corpo dell’autrice - spiega al pubblico come ha imparato a imitare gli umani. La sua non è la “relazione” kafkiana davanti ad una platea di accademici, ma un monologo-verità che prende vita in un contesto da varietà, tra una sedia da regista e una cornice luminosa alle sue spalle. Come il fool shakespeariano che si finge idiota per smascherare la realtà nascosta dietro l’apparenza o la vera follia insita nella saggezza, così l’uomo-scimmia di Giuliana Musso si esibisce sul palco svelando la sofferenza di una vita costretta a rinunciare alla propria natura per poter sopravvivere. Perché «non mi hanno rinchiuso per qualcosa che ho fatto, ma per qualcosa che sono». Il grande nodo sta tutto qui, nel dover diventare altro da sè, spezzando «la resistenza cellulare», piegando la chimica, trasformandosi nello schiavo «che ruba la frusta al padrone», arrivando a sorvegliarsi da soli. L’abisso sul quale si affaccia la scimmia è senza fine, Musso si ferma e guarda in faccia gli spettatori, li chiama in causa, spingendoli a vedere come l’ingresso “nella società degli uomini” sia soltanto un grande inganno. Feroce, diabolica e implacabile, la scimmia indica il baratro che ci inghiotte ogni volta che siamo disposti a cancellare la nostra identità per omologarci alla maggioranza . «La scimmia per quanto libera non può volare», ma forse, lassù sul palco, un piccolo spazio di libertà si può trovare. Nella speranza che l’arte resista alla violenza. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino