Fiorello si racconta: «Con il Karaoke ero popolare come il Papa. Poi è arrivato il flop»

Rosario Fiorello, in arte Fiorello
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“Mi trasferii a Milano con un mio collega dell’animazione, Bernardo Cherubini, fratello di Jovanotti. “Andiamo lì”, disse, “è pieno di gnocca”…”. Fiorello racconta a “Oggi” i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo: “Milano – ha fatto sapere - era piena di gnocca. Per un po’ abitai a casa di Lorenzo, in via della Moscova. Lui era già un disc-jockey famoso. Io solo un esuberante, egocentrico animatore da villaggio. Uno che aveva vissuto per quindici anni senza mai infilare un paio di scarpe”.

I primi passi a Radio Deejay (“Rimase colpito da me. A Deejay facevo la pianta, come dice Fabio Volo. Osservavo Jovanotti, Linus, Albertino. Prestavo la voce quando serviva. Nel primo programma tv di Lorenzo, “Uno due tre Jovanotti”, imitavo al telefono Montesano e Mike Bongiorno»”), poi il Karaoke: “Registrammo ad Alba quindici puntate di un format olandese che non mi convinceva. Andammo in onda alle otto di sera su Italia Uno contro tutti i tg. La prima settimana ci guardarono in 400 mila e l’idea era di chiuderlo. Io me n’ero già tornato in Sicilia. Ma dall’ottava puntata si passò a 800 mila e poi su, fino a due milioni e oltre. Mi chiamarono: “Fiore, torna, dobbiamo partire”. Un anno dopo ero il terzo personaggio più popolare d’Italia dopo il Papa e Di Pietro”.

A Sanremo le cose non sono andate come sperava: "Mi piazzai quinto dietro gente come Morandi, Giorgia e Bocelli. Ma le aspettative erano così alte che tutti parlarono di flop. Pippo Baudo sentenziò: “Caro Fiorello, sei entrato Papa e sei uscito cardinale”

Infine è arrivata la svolta da comico: “La svolta arrivò all’Arena di Verona. Stavamo registrando la finale del Festivalbar e io ero nei soliti panni del bravo presentatore. Ma la pioggia aveva bagnato gli impianti elettrici. Il patron Vittorio Salvetti mi dice col suo vocione: “Vai sul palco e intrattieni la gente. Io salgo sul palco e mi guardo intorno. Quattordicimila persone che erano lì per tutti tranne che per me. Prendo il microfono e comincio a sparare cazzate. Così, solo per far passare il tempo. Quindici minuti. Ci prendo gusto. Il pubblico ride. Venti, trenta, quarantacinque minuti di cazzate, finché un tecnico dietro le quinte mi fa cenno che il guasto è stato aggiustato e la messa cantata può cominciare”. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino