L’INTERVISTA Il teatro “filtrato” dai messaggi di Whatsapp, col cellulare acceso e gli schermi ben illuminati, «tutto il contrario di quello che di solito...
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Il teatro sui cellulari? Sempre impossibile.
«Mentre gli spettatori acquistano il biglietto, devono lasciare il numero del loro telefono. E visto che oramai tutti comunichiamo via Whatsapp, creeremo un gruppo apposito, con tutti i partecipanti, che ci metta in relazione immediatamente».
Quante persone?
«Un numero limitato, quello che comunque entrerebbe in sala in base alle normative sul distanziamento. Solo che invece di sedersi in platea, gli spettatori si disporranno sul palco. In un certo senso diventano protagonisti dello spettacolo».
Tutti collegati?
«Sì, chiediamo loro di non togliere la suoneria, di tenere lo schermo luminoso. Il testo teatrale arriverà via messaggio nei loro telefoni».
Che direte? O meglio, scriverete?
«Lo spettacolo è una riflessione su questa modalità di relazione: tutto viene filtrato da una parte e dall’altra dello schermo, e tutto questo si lega al tema lanciato dalla Biennale, quello della censura. Perchè il bombardamento di informazioni e di notizie di cui siamo vittime è una forma di censura. Non tanto perché è difficile arrivare alle informazioni, quando per capire ciò che vale la pena conoscere. Spesso un link apre ad altri testi, e ci si perde in meandri del tutto irrilevanti».
Voi artisti dove sarete?
«Noi non siamo in scena. Volevamo il palco vuoto: è da capire se questo vuoto è da riempire o no, anche alla luce di quello che è successo».
Una grande sfida, questa.
«Ammetto che ne abbiamo avuto inizialmente paura, ma davanti a sfide come questa che mettono in crisi anche noi, sappiamo che stiamo toccando un nervo scoperto».
Ma fisicamente dove vi mettete?
«Non saremo visibili: portata all’ennesima potenza la sfida sarebbe quella di fare tutto direttamente da casa, giocando anche con ciò che ci è arrivato con la pandemia, dalla didattica a distanza al lavoro da casa. Tutte questioni su cui vale la pena riflettere. Anche pensando al teatro. Perchè in fondo, non è detto che tutto debba essere fatto in presenza. La domanda allora è: ma l’uomo è animale sociale?»
Un animale sociale che sta insieme guardando il telefono...
«È come se diventassero attori: sei solo ma hai altre persone accanto che, come te, sono chine sullo schermo a leggere. Non è lontano da quello che vediamo abitualmente nella vita di tutti i giorni, ma lo dico senza dare giudizi».
Il pubblico potrà interagire? Rispondere, commentare?
«Forse gli verrà chiesto. Essendo una dinamica nuova non sappiamo cosa può succedere». Perché “Natura morta”?
«Di solito, per noi, il titolo arriva prima dello spettacolo, ma ora, a ragion veduta, il titolo si interroga sul ruolo che ha oggi il nostro corpo in un tempo e in un mondo dove tutto viene filtrato attraverso uno schermo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino