È il Paese dei complotti, delle ingiustizie e dei ricorsi. Non c'è potente in Italia che, dopo essere stato scoperto, riconosca di aver sbagliato, per poi chiedere scusa e...
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La vicenda più recente riguarda una consigliere regionale del Veneto che, secondo la Corte d'appello, ha nascosto spese per 140 mila euro nel corso della campagna elettorale del 2010, violando la legge che consente ai candidati di spendere non più di 40 mila euro.
Nessuno si sogna di lasciare la poltrona di spontanea volontà. I precedenti sono illustri: come dimenticare l'ex presidente del Consiglio accusato e poi condannato per gravi reati (e in altri processi salvato dalla prescrizione), uscito dal Parlamento soltanto perché obbligato dalla legge Severino. Per non parlare dell'ex presidente della Regione Veneto che, dopo aver patteggiato per corruzione nell'inchiesta sul "sistama Mose", non si è ancora dimesso dal Parlamento, facendosi beffe dell'impegno di rispetto che un tempo ha giurato alle istituzioni. Al complotto ha urlato perfino il sindaco di Roma, di fronte a multe non pagate per alcuni accessi "abusivi" nella zona a traffico limitato contestati alla sua vettura.
Nessuno dei potenti ammette mai di sbagliare; nessuno riconosce mai gli errori. È sempre colpa di qualcun altro: del rivale rancoroso, del cattivo di turno che vuole fermare la sua azione meritoria, di qualche procuratore o giudice mossi da pregiudizi di chissà quale tipo.
Il diritto alla difesa è sacrosanto, così come il principio di innocenza fino a prova contraria. Ma ogni tanto anche il cittadino avrebbe diritto ad un maggior rispetto e ad un po' di trasparenza da parte di chi è stato eletto per amministrare il bene pubblico.
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Il Gazzettino