Torino 38/7. Bar pericolosi tra attentati e ospiti misteriosi. Meglio il sesso hard di una 70enne

Torino 38/7. Bar pericolosi tra attentati e ospiti misteriosi. Meglio il sesso hard di una 70enne
Al Torino Film Festival, ormai in chiusura, una giornata più opaca, tra film che vorrebbero essere quello che non riescono ad essere e altri che smontano e rimontano...

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Al Torino Film Festival, ormai in chiusura, una giornata più opaca, tra film che vorrebbero essere quello che non riescono ad essere e altri che smontano e rimontano il proprio meccanismo in un modo fine a stesso. Si va più sul concreto con un'ora di film hard, dove si parla di corpi, sesso, vita e morte.

HOCHWALD di Evi Romen (Concorso) – Mario è un ragazzo che abita in Sudtirol. Sogna di diventare un ballerino, è gay, ha un problema con la droga. I genitori sono separati e la madre vive con il macellaio del paese, che ogni tanto costringe Mario ad avere con lui rapporti sessuali. Un giorno decide di partire per Roma col suo migliore amico, in cerca di successo. Ma un attentato terroristico islamico pone fine ai suoi sogni: l’amico muore, lui miracolosamente si salva. Tornato al paese, gli viene spesso rinfacciato di essersi salvato. Ritrova un compagno di scuola, che nel frattempo ha abbracciato la fede musulmana. E decide di seguirlo in questa scelta. Nell’esordio di Evi Romen c’è tutta una declinazione che cerca di rompere lo schema narrativo, attraverso sequenze spiazzanti, dove il dramma viene ricostruito con elementi dissonanti, tra il grottesco, il kitsch e comportamenti incomprensibili (la reazione della madre del ragazzo morto, l’attentato islamico – girato malissimo – e per di più a Roma, in Italia, dove mai si è verificato una tragedia simile, lo spot musulmano sulle note di Adamo, la conversione di Mario, eccetera). L’ambizione non manca, ma il risultato zoppica, non essendoci la forza e la capacità di legare tutto questo in modo davvero destabilizzante, dando un forte segnale di ciò che il film vorrebbe davvero essere e che invece non è. Voto: 5.

UNE DERNIÈRE FOIS di Olympe de G. (Fuori concorso) – Alla soglia dei 70 anni, Salomè decide che la vita possa finire, ma prima vorrebbe concedersi un’ultima serata erotica. Per questo mette un’inserzione sul giornale, alla quale rispondono in 12. Con sorpresa finale. Un film che dichiara la sua natura metalinguistica fin dall’inizio, diventando una riflessione, non così banale, sulla vita, sulla morte, sul corpo, sul sesso. Le lunghe sequenze hard, dove la celebre attrice porno Brigitte Lahaie ci introduce nella complessità di ogni gesto erotico, dichiarano la natura dell’operazione, più malinconicamente affettuosa che radicale. Voto: 6.

THE OAK ROOM di Cody Calahan (Le stanze di Rol) – Il proprietario di un bar in chiusura, durante una notte tempestosa di neve, riceve la visita di un giovane vagabondo, che torna al paese natale. Il ragazzo inizia a raccontare una storia di un altro barista che accoglie uno sconosciuto un attimo prima della chiusura, che gli racconta un’ulteriore storia. Il gioco a scatole cinesi vorrebbe esaltare una narrazione, anche metatestuale, sul fascino delle storie raccontate, dove la parola prende possesso e chiede fascino e mistero anche alle immagini, qui risolte in ambienti chiusi, i bar appunto, declinati in un buio quasi totale (e quindi misterioso) ravvivato soltanto da una luce che attraversa lo spazio e lo rende in minima parte visibile. Un film che si compiace del suo stesso meccanismo fine a se stesso, ma al contrario di un Tarantino, al quale il film purtroppo deve molto, Calahan si disinteressa totalmente di chiudere il cerchio, meglio i cerchi. Certo il fascino potrebbe anche non mancare, se può bastare. Voto: 5.

 

 

 

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Il Gazzettino