Stringimi forte: il rompicapo emozionale di Almaric affascina e toglie sicurezze

Stringimi forte: il rompicapo emozionale di Almaric affascina e toglie sicurezze
Il mondo-cinema...

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Il mondo-cinema di Mathieu Amalric è tutt’altro che lineare, diretto, narrativamente coinvolgente. Ottimo attore in oltre un centinaio di film, fin dal suo esordio da regista, avvenuto nel lontano 1997 con “Mange ta soupe” fino al suo penultimo lavoro “Barbara”, la sensazione è sempre stata quella di trovarsi spesso di fronte a operazioni sghembe, frantumate nella loro rappresentazione, suggerite sempre da una cadenza intellettuale esplicita che esalta una certa originalità, ma al tempo stesso rischia di allontanare lo spettatore più pigro. Con “Stringimi forte” Amalric non perde ovviamente di vista il suo consueto stile, mantenendo una forza visiva non comune, un senso del racconto frastagliato in immagini che quasi confliggono, dove ogni frammento è uno scacco alla vista, un indizio per la mente e uno sconquasso per il cuore. Una mattina Clarisse lascia la casa, un marito e due figli. Parte. Non si sa dove sta andando, al momento non si capisce nemmeno perché. Poi ci sono il mare e i ricordi, le polaroid da ammucchiare, una vita da assemblare, mentre chi è stato abbandonato cerca di reggere lo sconforto e andare avanti. Adattamento di una pièce teatrale di Claudine Galéa, intessuto da una colonna sonora classica colta e raffinata, la radicalità della storia comporta uno sforzo di aggregazione, all’interno di una “fuga” che non sembra essere soltanto fisica, un melodramma quasi glaciale, che sradica la tranquillità confortevole di una famiglia, minandola dal suo interno, costringendo ciascun elemento a fare i conti con la nuova realtà. Se il tempo sembra spezzarsi e i dialoghi farsi eterei, quasi a distanza, si direbbe telepatici, il film è un road movie esistenziale, dove l’auto è il mezzo per superare la realtà e addentrarsi nel sogno, in una dimensione fantasmatica, dove ogni separazione, uno sgretolamento inatteso e inspiegabile, comporta un nuovo inizio per tutti. Passato a luglio all’ultimo festival di Cannes, ma non in Concorso, come forse avrebbe meritato, il film di Amalric resta un’opera estremamente intima (del personaggio principale, una bravissima Vicky Krieps, del regista stesso), colta nel suo continuo farsi, nella sua ricerca di “verità”, una madre che si disfa dei figli più che del marito e che sa di non compiere un gesto comprensibile dal mondo. Ma dietro a tutto questo c’è ovviamente dell’altro, un percorso parallelo: una tragedia sulla neve, un lutto insostenibile, il desiderio illusorio che tutto non cambi, ribaltamento di ogni sicurezza (narrativa). Forse Amalric alza un po’ troppo la posta della sua originale personalità di regista, forse però chi decide di seguirlo, non resterà deluso, confidando che ogni fraintendimento del racconto sia anche la sua ricchezza. Voto: 7,5.

 

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Il Gazzettino