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Sarebbe facile affermare che “ Il brutto è servito”. Di bellezza continuiamo a occuparci ma poi usciamo per una passeggiata e incontriamo una, dieci, centomila lei con infradito su piede provato, gambe nude fino ai glutei debordanti dai bordi sfrangiati di un pantaloncino sottotaglia. Sopra , svolazzano camiciole stanche, dalle quali escono braccia coperte da tatuaggi sempre più contorti , paesaggistici, naturalistici, simbolici, purchè importanti, ben visibili, applicati su aree di pelle sempre più estese, fino a raggiungere in certi casi il collo, o la faccia. Le decine o le centinaia di “lui” che incrociamo in questa passeggiata di rassegnazione portano sandali-ciabatta, o infradito da bagno, i pantaloni corti sono autentiche mutande che lasciano scoperte le gambe complete di peli . Sopra un qualcosa di svolazzante o semplicemente una canottiera che lasci scorgere tatuaggi da esposizione. In mano hanno entrambi, i lei e i lui, il telefonino tenuto come una protesi . Ciò che si muove intorno a loro non viene né visto né considerato, sia che si tratti del Duomo di Milano, o del Palazzo Ducale di Venezia, del ponte di Rialto o di Piazza di Spagna. ma invece c’è da considerare che in quelle mises apparentemente solo casuali c’è una certa voglia di apparire, una voglia di corrispondere a una ricerca del bello che per noi è stato, era (forse sarà sempre) altra cosa. Il bello come la storia ce lo ha consegnato non èp quasi mai casuale, è frutto di una ricerca, di una volontà, di una conoscenza. Di una educazione.. C’è la risposta pronta ed è “la comodità”, che oggi giustamente risulta un obbiettivo privilegiato e a fronte del quale non si discute. Ma la bellezza non c’entra.
Bellezza è qualcosa che non coincide sempre (anzi, quasi mai) con la comodità.
Il Gazzettino