«Da Orwell all'Aida, così sfido me stesso»: Damiano Michieletto guarda allo Stabile

Il regista veneziano Damiano Michieletto (foto Guindani)
Damiano Michieletto ama le sfide. Produttive, creative, organizzative: realizzare ex novo una nuova opera lirica come “Animal Farm”, oppure rimodellare una versione...

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Damiano Michieletto ama le sfide. Produttive, creative, organizzative: realizzare ex novo una nuova opera lirica come “Animal Farm”, oppure rimodellare una versione “moderna” di Aida e, perché no? provare a immaginare anche una “visione” futura dello Stabile del Veneto dopo il recente addio del direttore artistico Ferrara. Il celebre regista lirico e teatrale veneziano, classe 1975, fresco del recentissimo successo di “Animal Farm” alla De Nationale Opera di Amsterdam, guarda al futuro. Partendo proprio da Orwell: da anni sognava di trasformare “La fattoria degli animali” in opera lirica, coinvolgendo alcuni teatri europei. «Volevo capire se ce la facevo a mettere insieme i pezzi, la sfida era con me stesso» ammette da Monaco di Baviera, dove si trova per allestire un’Aida che racconterà la guerra tra popoli fratelli, attesa per metà maggio. «Tutto è iniziato nel 2017, l’accordo con Amsterdam si è concretizzato nel 2019, poi sono entrate le co-produzioni (la Staatsoper di Vienna, il Teatro Massimo di Palermo e la Finnish National Opera di Helsinki). Mi sono reso conto che sono proprio questi progetti ad interessarmi di più adesso, perché mi danno molta motivazione».

Un altro modo di avvicinarsi all’opera?

«Sono lavori stimolanti e creativi in cui tutto va costruito dall’inizio, dalla musica alla drammaturgia, dalle parti per i cantanti alla scenografia. Sei tu che ti poni davanti a questo materiale, e devi cambiare punto di vista. Per “Animal Farm” c’è stato anche il bellissimo lavoro del compositore russo Alexander Raskatov creato da zero. Ho sempre creduto che Orwell fosse la cosa giusta da fare, mai come adesso attuale: parla di democrazia, dittatura, propaganda, uguaglianza, potere, ma lo fa come una favola».

E la collaborazione con Raskatov?

«Me l’ha fatto conoscere il teatro di Amsterdam. Essendo emigrato dalla Russia, la storia di “Animal Farm” lo toccava da vicino. Il romanzo di Orwell era proibito in Russia. Per lui è stata una rivelazione, E’ come se il passato fosse tornato presente, per cui ha sentito questa piccola missione».

Un mattatoio, i cantanti con le maschere: come ci è arrivato?

«Il punto di partenza è che non siamo nella fattoria, ma in un luogo in cui gli animali sono in una situazione di vita e di morte, e si liberano dalle gabbie. Ho subito immaginato le maschere, forse perché sono veneziano e noi siamo abituati al concetto della maschera, matrice del teatro. Di qui il concetto di animali in gabbia: sono carne da macello, il che è anche la metafora dei soldati mandati al fronte, degli uomini sfruttati. Poi gli animali, nella storia, diventano umani. Come dire: volevano fare la rivoluzione contro il padrone e diventano identici a chi gestiva il mattatoio».

Prima di arrivare ad Amsterdam aveva pensato di proporre “Animal farm” in Italia?

«Sì, ma ho subito trovato ostacoli. Il primo, ad esempio, erano i diritti d’autore, e questo bloccava già tutto. Invece ad Amsterdam, in una settimana, tutto si è risolto».

Lo Stabile del Veneto è rimasto senza direttore artistico. Qualcuno la indica come candidato alla guida. Che ne pensa?

«Davvero? (pausa...) Beh, lo Stabile, a differenza degli altri teatri, ha come prima missione quella produttiva: quindi deve decidere cosa produrre, perché questo definisce la sua identità. È qui che si valuta la forza di un teatro. In più, bisognerebbe ragionare come se vivessimo a Londra, vincendo la mentalità “campanilistica” e ragionando come squadra. Quindi non un territorio diviso in tanti posti, ma una progetto unico da creare in rete. Infine, bisogna riconoscere i talenti e farli emergere».

Se le proponessero l’incarico?

«Se c’è un progetto, se c’è una visione... Confesso che negli anni passati c’erano stati colloqui, ma avevo rifiutato. Ho letto dell’addio di Ferrara dai giornali, sono in Germania da un po’».

Una sfida complessa.

«Il problema è che il teatro Stabile è di Padova, di Venezia e di Treviso: non è facile trovare una chiave unica, perché non si deve pensare di avere semplicemente tre barattoli da riempire. Per di più Venezia da un lato è una vetrina mondiale e dall’altro è una città con 50mila abitanti. Non è come la Fenice, frequentata anche dai turisti. Chi dovrà guidare lo Stabile ha un compito non semplice, anche perché, finora, manca una storia che caratterizzi il teatro. Per questo, se lo si vuol fare, ci si deve dedicare con impegno, mettendoci tempo, i propri contatti, le relazioni... e creare».

 

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Il Gazzettino