Ascoltata oggi, puo’ sembrare ancora molto lontana la musica di Angelo Branduardi. Suoni e melodie, diciamo, che sanno di altre epoche alle quali si affianca un canto...
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Affiancato dall’ottimo pianista Fabio Valdemarin, Branduardi si è cimentato prevalentemente al violino, sottolineando, con la giusta convinzione, che questo concerto interamente acustico e con la formula del duo, non solo è un progetto anomalo e coraggioso, ma vuole appositamente distanziarsi dalla musica d’impatto che l’artista ha in più occasioni criticato. E qui ognuno può vederla come meglio crede confrontando le varie proposte della scena attuale. Quel che è certo è che i suoi cavalli di battaglia sono ancora apprezzati e che la sua voglia di stare sul palco (basti pensare alla “Pulce d’acqua”) rimane davvero molto forte, anche se la voce in certi passaggi non è più quella di un tempo.
Poi c’è l’aspetto più confidenziale, quello soprattutto della prima fase del concerto, dove il musicista è capace di passare, con il suo stile, dalla narrazione di San Francesco all’ultima lettera di Che Guevara, definendosi uomo di pace e non pacifista quando commenta i drammatici fatti di questi mesi.
Anche questo tipo di approccio (intimista, diretto e stimolante), si piazza a chilometri di distanza dalla “musica d’impatto”. Anzi, certi arrangiamenti e la scelta di riproporre “Lord Franklin” portata al successo dall’indimenticabile John Renbourn, ne vogliono marcare le vistose lontananze.
E le evidenti incompatibilità. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino