Ma Trump ha già firmato e la Cina etra nel mirino

Sabato 1 Aprile 2017 di Flavio Pompetti
Ma Trump ha già firmato e la Cina etra nel mirino
NEW YORK Donald Trump è tornato a sventolare la bandiera del protezionismo ieri, con la firma di due decreti che riguardano gli scambi commerciali internazionali. Lo ha fatto alla vigilia dell'incontro che avrà con il presidente cinese Xi Jinping giovedì e venerdì, ma il monito che ha voluto lanciare riguarda tutti i Paesi che scambiano con gli Usa. Il proposito è quello di allertare ognuno di loro di un possibile inasprimento in arrivo nei termini del rapporto. Il primo dei due provvedimenti chiede al dipartimento per il Commercio di stilare un rapporto accurato di ogni abuso da parte dei Paesi stranieri. Trump vuole sapere quale governo sostiene la competitività delle proprie aziende con l'infusione di finanza pubblica, al punto di svantaggiare le società americane che producono gli stessi prodotti ad un prezzo superiore. Un registro dei buoni e dei cattivi, che serva da base a lui e alla sua squadra di governo nelle trattative.

LE CONCLUSIONI
Il secondo esige che sulla base delle conclusioni del rapporto, sia applicata con maggior rigore la normativa esistente, che autorizza le autorità doganali americane ad applicare dazi di importazione, ovvero delle tariffe punitive, che annullino gli scompensi esistenti. Dal 2001 questa normativa si è tradotta in una riscossione di 2,8 miliardi di dollari in dazi. Troppo pochi, dice Trump, rispetto agli abusi correnti. Occorre pareggiare la bilancia, cominciando a colpire chi specula sulle importazioni verso gli Usa. La data del 2001 coincide con l'ingresso della Cina nel Wto e nel mercato globale. È indubbio che nello stilare le direttive Trump mira ad ammonire il presidente Xi del tono del negoziato che lo attende la prossima settimana. Ad ogni buon conto il presidente americano ha rincarato una dose con l'ennesimo tweet: «L'incontro sarà molto difficile ha scritto perché non possiamo più sopportare un disavanzo così ingente, e la perdita di lavoro che questo comporta (negli Usa). Le aziende americane devono prepararsi a individuare delle alternative». Trump fa riferimento alla rilevante porzione dei 347 miliardi di deficit nella bilancia commerciale con Pechino, che vanno attribuiti alle aziende americane che producono in Cina, esattamente come fa lui stesso con alcuni dei prodotti di abbigliamento della linea Trump, e come fa sua figlia Ivanka, con i cosmetici che portano il suo nome. L'incontro con Xi e con la sua delegazione servirà anche a questo: a capire quanta responsabilità di quel deficit può essere addossata al governo cinese, e quanta risiede invece nell'appetito che i consumatori americani hanno per i prodotti, e per i prezzi, che vengono dal paese asiatico.

IL DISAVANZO
Il disavanzo negli ultimi quindici anni è stato massimo quando l'economia americana cresceva al passo del 4% l'anno, e minimo nei tempi di rallentamento e di crisi. Non è quindi vero che il solo dato numerico possa essere interpretato come un indice della sofferenza per gli Usa e per i suoi consumatori. Quando abbaia contro la Cina, Trump si rivolge in realtà ai lavoratori americani ai quali ha promesso il ritorno dell'epoca d'oro dei salari ricchi. Ma nell'incontro di giovedì dovrà tener conto della realtà e dell'interesse del suo paese di mantenere un buon rapporto commerciale con la Cina. La delegazione in arrivo da Pechino è cosciente della reale situazione, e invece di rispondere a tono alle minacce, si è limitata ieri ad auspicare una crescita dei consumi interni che limiti le esportazioni, e una pace duratura con il partner americano.