Brexit, ansie e paure dei britannici divisi sul destino del Regno

Giovedì 23 Giugno 2016
Brexit, ansie e paure dei britannici divisi sul destino del Regno
dal nostro inviato Renato Pezzini
LONDRA - Non c’è traccia del proverbiale aplomb inglese in questa feroce vigilia del voto. I leader politici avevano promesso che dopo l’assassinio della parlamentare Jo Cox – uccisa la scorsa settimana da un fanatico nazionalista - il clima di scontro si sarebbe raffreddato. Ma il clima, se possibile, è ancora più avvelenato. A metà pomeriggio mentre in Trafalgar Square si riuniscono in migliaia per commemorare la Cox, i fautori del Brexit a mo’ di sfregio fanno sorvolare la piazza da un aereo che trascina una scritta: «Take control, vote leave». Gli inventori dello slogan «take control» vanno molto fieri della loro creazione, ma dovrebbero in realtà pagare i diritti d’autore alla Lega Nord. «Prendi il controllo» non è altro che una versione sintetica di quel Umberto Bossi sbraitava già quindici anni fa: «Padroni in casa nostra». L’immagine della Gran Bretagna propinata da coloro che auspicano la secessione da Bruxelles, del resto, è quella di una Nazione schiacciata e annientata dai diktat dell’Europa, minacciata da una barbarica invasione straniera, al limite del baratro.

LA PAURA
Il Regno Unito è impaurito, si sente fragile, insicuro, disorientato dalle panzane che infarciscono la campagna elettorale. Da queste parti non erano abituati a vedere capipopolo con la bava alla bocca pronti a gonfiare cifre, ad accumulare menzogne, a manipolare dati, a brandire l’arma del terrore, a disegnare un futuro a dir poco apocalittico pur di portare a casa un voto in più. Ora devono fare i conti con tutto questo e anziché reagire con distacco finiscono per non credere più a niente e a nessuno, come se non riconoscessero più il loro Paese.
 
LO SCETTICISMO
Anche ai sondaggi non crede più nessuno. Dieci giorni fa gli esperti di demoskopea dicevano che i sostenitori del “leave” (quelli che vogliono dire addio all’Ue) erano in vantaggio. Poi dopo l’omicidio di Jo Cox hanno sostenuto che le cose si erano invertite a favore del “remain” (i fautori della permanenza in Europa). Ora dicono che sono testa a testa: «Non hanno senso questi sondaggi» dice Uwi, un tedesco che sta a Londra da cinquant’anni e fa lo psicologo «Sono tutti numeri fatti circolare per condizionare la gente, per pilotare le opinioni».

IL PIÙ SPREGIUDICATO
Lo pensa lui e lo pensano in tanti, convinti come sono di essere annientati da una tempesta di bugie dette «nel nome del popolo». Nigel Farage, il padre padrone dell’Ukip, il partito populista alleato a Bruxelles con il Movimento 5 Stelle, è il più spregiudicato nel farsi interprete del sentimento popolare. E’ stato lui in qualche modo a dettare l’agenda del dibattito, ha portato una discussione che doveva valutare i pro e i contro del distacco dall’Europa sul terreno di una guerra di civiltà contro gli immigrati.
Due anni fa nei quartieri multietnici dell’East London – Bethnal Green, Hackney, Tottenham – alle finestre erano appese le bandiere dell’Inghilterra impegnata ai mondiali di calcio. Adesso ci sono i Campionati europei ma alle finestre ci sono solo i cartelli di chi voterà “leave” o di chi voterà “remain”. Magari sono vicini di casa, ma sembrano appartenere a mondi diversi.

LE POSIZIONI
Suonare alla porta di chi inneggia al secessionismo significa sentirsi rispondere che «l’Europa ci sta rovinando, e noi vogliamo tornare a essere la Grande Nazione che eravamo prima di questo scellerato matrimonio con Bruxelles». Nella casa accanto le risposte sono di tutt’altro tenore: «Uscire dall’Europa vorrebbe dire isolarci dal resto del mondo, far precipitare la nostra economia. Sono degli irresponsabili. Noi abbiamo bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno di noi».

Uno ha appeso alla porta questo manifesto: «Vladimir Putin, Nigel Farage, George Calloway, Marine Le Pen e l’Isis vogliono che la Gran Bretagna lasci l’Europa. Lo vuoi anche tu?». Difficile immaginare un dialogo possibile se le posizioni sono così radicali ed estreme. Infatti non c’è dialogo, ma solo scontro. E c’è l’umiliazione subita dagli stranieri che sono tantissimi, che fanno funzionare questa città immensa accollandosi i lavori peggio pagati e più faticosi, che spazzano le strade di notte e guidano gli autobus di giorno. Ma che di questi tempi camminano rasente i muri sentendosi oggetto involontario di una contesa greve e folle, subendo un odio e un rancore che non immaginavano possibile.

LA DELUSIONE
La sera della vigilia nei pub le televisioni sono sintonizzate sulla partita fra Italia e Irlanda. Ma davanti ai boccali di birra si parla d’altro, si parla del referendum, le voci si fanno concitate. E la sola cosa che in qualche modo mette d’accordo tutti, è la delusione nei confronti della classe politica. Non solo verso il becero populismo di Farage.
Ce l’hanno anche col primo ministro conservatore, Cameron, che per rafforzare la sua posizione ha convocato un referendum senza valutarne i rischi; ce l’hanno con l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, che per coltivare l’ambizione di sostituire Cameron ha sposato la causa secessionista con una veemenza cieca; ce l’hanno il segretario del Partito Laburista Corbyn che è rimasto alla finestra tiepidamente per mesi, scendendo in campo solo dopo l’omicidio di Jo Cox. Ce l’hanno soprattutto contro chi ha trasformato questa giornata di voto in una guerra fratricida, insensata, al solo scopo di rafforzare il proprio consenso. Hanno pensato a se stessi, non alla Gran Bretagna. Col rischio che da domani tutto possa precipitare.
 
Ultimo aggiornamento: 08:34 © RIPRODUZIONE RISERVATA