Hollywood chiama e a rispondere - dagli anni Ottanta a oggi - è quasi sempre lei: Valeria Golino, 58 anni, la più internazionale delle nostre attrici.
Ne sapeva qualcosa?
«Nulla. Ho accettato il film sull'onda dell'entusiasmo per una bellissima storia vera. Quando guardiamo agli homeless pensiamo a vite alla deriva, identificate con la povertà. Ma c'è altro: calcio, entusiasmo, allegria. Il diritto alla felicità».
Il suo ruolo?
«Una piccola parte, l'organizzatrice italiana del torneo. Parte degli attori del film sono veri calciatori, ex senzatetto. Bill Nighy è il loro mister».
Lei fa beneficenza?
«In certe occasioni mi sono sentita in grado di aiutare. Ma mai in maniera cosi attiva da potermene vantare, adesso, in un'intervista».
Meglio farla e non dirlo?
«Meglio fare senza doverne parlare. Altrimenti è solo un modo per asserire la propria identità».
È appassionata di sport?
«Mi interessa ma non ho una passione specifica. Poi, certo: se vince il Napoli sono sempre contenta».
È competitiva?
«Non come vorrei. Perché la competitività è una specie di turbo: è quella che ti dà la voglia di vincere, la tigna. La mia ambizione non ha tanto a che vedere col vincere, quanto col fare ciò che desidero».
Che sarebbe?
«Come tutte le attrici, essere vista, amata, ammirata. Ma non più degli altri».
Se fosse stata più ambiziosa?
«Forse sarei rimasta a vivere negli Stati Uniti. Ma non ho mai perseguito con insistenza una carriera internazionale, anzi l'ho vissuta con ambivalenza. Adesso, però, ho molta meno paura rispetto a prima».
Di cosa?
«Di rischiare, di fare cose professionalmente pericolose, divertirmi. Uscire dalla comfort zone».
L'ultima volta che lo ha fatto?
In Te l'avevo detto di Ginevra Elkann (interpreta l'ex pornostar Pupa, ndr)».
Con Larraín e Jolie com'è andata?
«Ho una parte piccolissima in Maria, tre giorni di lavoro (interpreta la sorella di Maria Callas, ndr). Avevo voglia di veder lavorare Larrain: dopo tre minuti sul set, alla prima inquadratura, capisci subito che sei davanti a un grande regista».
Angelina Jolie ha fatto la diva?
«No, anzi: è un'attrice molto presente a se stessa, molto attenta al suo partner. Non mi aspettavo tanta generosità».
Era a suo agio?
«Non ho mai sofferto lo star power, nemmeno da piccola con Dustin Hoffman (Rain Man, 1988, ndr). Sono curiosa degli effetti della fama sull'essere umano. Come diceva Pasolini, "la fama è l'altra faccia delle persecuzione"».
La sua serie "L'arte della gioia", quando si vedrà?
«Ho finito e consegnato da pochissimo. Ora aspetto direttive per capirne l'uscita. Ho fatto il meglio che potevo con un linguaggio diverso, quello della tv, che non conoscevo. Ho imparato molto.
Dispiaciuta per l'Oscar sfumato per Garrone? Avevamo chance?
«Il suo film mi è piaciuto molto ed ero fiera che fosse agli Oscar. Avrei preferito che vincesse, ma non c'è nulla di cui dispiacersi se un bel film arriva in cinquina. Se la giocava con un altro grande film, che poi ha vinto. Ma Garrone è un grande regista. Avrà certamente tante altre opportunità».