Herr Merkel: «Pesce e vino rosso? Nein»

Sabato 27 Maggio 2017
Herr Merkel: «Pesce e vino rosso? Nein»
Detta temi e timing. Litiga con Angela Merkel, ruvido e arrogante, ma anche cortese quando strettamente necessario. Il G7 italiano, come da pronostici, è sotto il segno di Donald Trump, deus ex machina del successo o del fallimento del summit. Con una strategia chiara: strappare e fare la voce grossa senza però rompere, perché un fiasco del primo vertice internazionale cui partecipa sarebbe imbarazzante anche per lui. Tant'è, che alla fine The Donald firma la dichiarazione anti-terrorismo. E oggi accetterà di dare il via libera a un'intesa complessiva dove, sui punti più divisivi come il clima, non c'è alcun impegno americano a rispettare l'accordo di Parigi. E su commercio e migranti, con la difficile trattativa ancora in corso, la bilancia pende decisamente dalla parte di Washington. Che sigla, proprio qui, un patto commerciale con Londra per il post-Brexit.
Il tycoon-presidente tra bizze e presunte gaffe che sono piuttosto mosse ben studiate, per tutta la mattina gioca nel ruolo dell'uno contro tutti. E al diavolo, anche plasticamente, il tradizionale (e a volte ipocrita) afflato unitario della famiglia dei Sette Grandi. Trump lascia tutti, il padrone di casa Gentiloni, la tedesca Merkel, il francese Macron, il canadese Trudeau, l'inglese May, il nipponico Abe per quasi un quarto d'ora (un'eternità in un vertice di questo calibro) ad aspettarlo sul palco del Teatro greco dove va in scena la cerimonia inaugurale. Poi, mentre gli altri passeggiano assieme per il corso di Taormina, se ne resta per conto suo. Marca fisicamente la distanza dal gruppo. Alla gente di qui piace. Lungo la strada i residenti applaudono il presidente Usa. Gli gridano: «Bravo, benvenuto». E lui ferma la golf-car, stringe mani. Saluta.
Che l'approccio di Trump sia muscolare, è chiaro fin da mattino quando esplode una lite con la Germania. Tutto comincia da alcune indiscrezioni del giornale tedesco Spiegel riguardo all'incontro con il leader della Ue, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk. La frase incriminata del tycoon: «I tedeschi sono cattivi, molto cattivi. Guardate quante auto vendono negli Stati Uniti. E' spaventoso. Fermeremo tutto ciò». Apriti cielo. Tocca a Juncker, con un difficile equilibrismo, provare a calmare le acque: «Trump non ha detto che i tedeschi sono cattivi, è una forzatura della traduzione. Ha usato la parola bad che non va per forza tradotta come cattivo». Il significato però è quello. Naturalmente non può bastare. Così Trump quando alle 13 si siede al tavolo del G7 per la prima sessione di lavoro, parla fitto fitto con la Cancelliera. Sorride. Si mostra affabile. Fuori, il suo consigliere economico Gary Cohn prova a sistemare le cose: «Il presidente ha detto very bad riferendosi al commercio tedesco, non ha alcun problema con la Germania, ha anche ricordato che suo padre viene da lì». Segue bilaterale. Sintesi della Merkel: «Abbiamo avuto una conversazione vivace e franca tra leader». Traduzione: un battibecco. Sul commercio proprio Cohn fa poi sapere che Trump «è pronto a una discussione robusta». Spiegazione: «Vogliamo reciprocità, ti trattiamo nel modo in cui ci tratti. Se non hai barriere e non hai dazi, anche noi non li avremo».
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