Bersani e D'Alema all'attacco

Martedì 6 Dicembre 2016
Bersani e D'Alema all'attacco
Le ostilità le aprono a suon di bordate Bersani e D'Alema. Il primo: Avevamo visto giusto che c'era un'onda di disaffezione e di distacco, con il nostro No abbiamo evitato di consegnare tutto ciò alla destra. Ora servono correzioni profonde di linea in direzione del sociale, l'establishment viene dopo. Il secondo: Renzi non si dimetta, cerchi di ragionare a mente fredda, abbandoni la strategia dello scontro. L'ex leader dei Ds definisce una follia pensare di puntare su quel 40% del referendum per dar vita al partito di Renzi, e ricorda, D'Alema, di quando il Pci prese il 45 per cento al referendum sulla scala mobile ma poi alle politiche non andò oltre il 27%. E se Renzi punta insiste preme per elezioni al più presto, D'Alema delinea a sua volta una sorta di strategia del rosolamento del premier congelato in tre tappe: niente dimissioni, niente congresso né elezioni anticipate, si può arrivare responsabilmente alla scadenza naturale del 2018, votare adesso sarebbe irresponsabile. La minoranza Pd è in fermento. Al congresso, quando sarà, intende arrivarci con il candidato anti-Renzi all'altezza: è in atto un forte pressing su Michele Emiliano perché si candidi alla segreteria, passando così dall'ostilità politica aperta all'attuale leader (vedi referendum sulle trivelle, o le continue dichiarazioni sul Pd che non dev'essere il partito dei banchieri) alla scesa in campo diretta per contrastarne la leadership. Una candidatura finora sussurrata ma in fieri, tanto che nella maggioranza non fanno spallucce, anzi, è uno dei motivi che spingono i renziani a convincere Matteo a restare in lizza. Contro Emiliano un Franceschini perde, lo stesso con Orlando, solo con Renzi si vince, spiegano nella cerchia ristretta. La minoranza interna ha anche fiutato l'aria che tira nel partito, che non è di entusiasmo per la scelta del No dei due ex leader, non ci sono in periferia scene di giubilo per la sconfitta, e insomma questo Pd in buona parte cambiato dai tempi di Bersani e D'Alema e oggi molto renziano, non pensa di passare alle pacche sulle spalle per il comportamento di Speranza e soci apertamente ostile al proprio premier-segretario e al proprio governo. Abbiamo visto all'opera D'Alema nei panni di D'Alema, Bersani nei panni di Bertinotti e Gotor in quelli di Turigliatto, la rasoiata di Alessia Morani, deputata pesarese renzanissima, che ricorda i passati delle pugnalate ai governi Prodi. Il clima interno in sostanza più che da resa dei conti, è di pre-separazione più o meno consensuale. E siccome espulsioni et similia non usano più, la vendetta renziana avverrà al momento delle liste elettorali. A tal proposito è già partito un dibattito-scontro a tratti surreale sul congresso: da che doveva essere anticipato anticipatissimo, adesso è diventato frenato frenatissimo. Non è la priorità del momento, ci sono ben altri problemi e scadenze, fa il bersaniano Davide Zoggia. Ma anche dalla maggioranza non si pigia più sull'acceleratore: La priorità sono le elezioni anticipate, le chiedono i vincitori del referendum, le chiedono le opposizioni e le vogliamo anche noi, spiega Davide Ermini responsabile Giustizia del Pd. Il sottinteso è che con le elezioni le liste le farà il segretario in carica.
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