Apprezzate nel lavoro, ma penalizzate dai figli

Mercoledì 9 Marzo 2016
Le belle hanno una marcia in più, le aspiranti madri una in meno. La loro preparazione è considerata adeguata ma l'impressione è di venir trattate con maggiore circospezione rispetto agli uomini, in un rapporto non paritetico dove prevalgono un buona dose di cautela e una certo grado di freddezza. È quanto emerge dal sondaggio "Laureate e lavoro", promosso dall'Osservatorio Professionale Donna e presentato ieri all'Orto Botanico in occasione della giornata "Per un nuovo 8 marzo" organizzata dall'Università di Padova.
L'indagine ha coinvolto 10 mila laureate in tutte le discipline degli anni 2014 e 2015 (laurea umanistica per il 40,3% delle rispondenti, scientifica per il 59,7%, al momento della ricerca disoccupate per il 30,4%, in tirocinio per il 32,4%, lavoratrici per il 7,2%), confermando nella sostanza i problemi cronici della presenza femminile nel sistema economico italiano. Dalle risposte, raccolte in forma anonima tramite l'applicativo informatico Survio, emerge infatti che, già dai primi passi nel mondo del lavoro, il 37% delle laureate percepisce un'accoglienza diversa, e più diffidente, rispetto agli uomini. Per il 34% la chiusura si riscontra prevalentemente nei ruoli più elevati. La buona notizia è che la preparazione delle donne è sempre più considerata: percepita positivamente per il 48% delle intervistate, è addirittura in crescita rispetto agli uomini per il 23%. Rimane uno zoccolo duro di irriducibili (20,1%) che considera, quasi per definizione, "inferiore" la formazione di una donna.
Meno esaltante il quadro di riferimento della cosiddetta "bella presenza": qui, solo per il 12% delle intervistate si va a una parità di genere. Per il 79% delle neolaureate l'estetica gradevole conta ancora molto. Anzi, pure troppo. Quanto alla maternità, il 69% delle neolaureate la percepisce come un problema. Per il 37%, la prima risposta è: «al momento proprio non ci penso». Se ne parlerà oltre i 30-35 anni.
«La preparazione delle donne laureate è considerata ottima - spiega la coordinatrice dell'Osservatorio, ingegner Lisa Zanardo, curatrice del report - ma nelle posizioni direzionali è sempre meglio mettere un uomo. Se poi si parla di maternità la carriera è finita. Tutto questo, al di là dei rilevanti aspetti sociali, compromette la capacità competitiva del nostro Paese». La natalità insomma è vista come uno scoglio: se il 16% del campione la ritiene "una situazione contingente da gestire e supportare", e il 15% come "un fatto che non deve interferire con la vita aziendale", il 20,8% parla senza mezzi termini di "ostacolo" e il 48,1% di una "fase che determinerà minore disponibilità e carriera". Per il magnifico rettore Rosario Rizzuto che ha aperto i lavori (seguiti da una tavola rotonda animata da Anna Giuliani, presidente Solgar Italia Multinutrient spa, Giorgia Caovilla, ad Ojour by G. Caovilla, Francesca Mazzonetto, avvocato amministrativista, Silvia Nicolis, ad Museo Nicolis e Lamacart, e la stessa Zanardo) «se chiediamo a un bambino o a una bambina quali sono le prospettive lavorative per un maschio o una femmina, ci diranno che sono uguali. Percepiscono una parità di genere che in realtà è ancora molto lontana da venire, come dimostra la disparità d'accesso lavorativa ai ruoli dirigenziali. Su questo - ha promesso Rizzuto - lavoreremo come Università: ho dato il buon esempio nella mia squadra di prorettori, dove 7 su 12 sono donne. Ma è un percorso lungo: bisogna capire che la differenza di genere è un valore, non un ostacolo. E dobbiamo essere noi uomini a chiedere parità, con forza. Proprio perché il minor accesso delle donne ai ruoli dirigenziali è una grave perdita culturale ed economica».

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