Gang di ragazzi a Monselice, l'insegnante: «Se chiedevo perché non venissero a scuola mi rispondevano: "E allora? Va bene così"»

Giovedì 10 Febbraio 2022 di S.d.s.
Gang di ragazzi a Monselice, l'insegnante: «Se chiedevo perché non venissero a scuola mi rispondevano: "E allora? Va bene così"»
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MONSELICE (PADOVA) - Comportamenti gravissimi, criminali, che però sono il frutto di una condizione di difficoltà e sofferenza in cui, per affrancarsi, talvolta i ragazzi scelgono la via della trasgressione estrema.

Una realtà difficile, in cui c'è chi lotta quotidianamente in prima linea perché della crescita dei ragazzi ha fatto una missione di vita e non solo un mestiere. Come Davide Penello, docente di religione all'istituto Kennedy di Monselice che è stato frequentato anche da diversi membri della banda.


Lei ha conosciuto alcuni di questi ragazzi. In generale come legge questi comportamenti?
«Il bullismo, la prepotenza, le prevaricazioni sono le conseguenze del nichilismo educativo, su cui la pandemia e tutte le privazioni che ha imposto ai ragazzi ha pesato molto. Sono ragazzi che provengono da famiglie a loro volta in difficoltà, privati di modelli educativi forti e chiari. Per questo le loro azioni sono diverse dalla naturale spinta che ha ogni adolescente a scontrarsi con le regole. Un ragazzo che sa di disobbedire sa che esistono dei paletti e che delle sue azioni dovrà rispondere. Questi giovani invece sono totalmente apatici, a loro non importano le conseguenze».


Ha avuto occasione di parlare con loro e con i coetanei?
«Certo, quando non venivano a scuola chiedevo perché si comportassero così, cosa dicessero i genitori. Ma loro si limitano a dire E allora? A noi va bene così. Troppi giovani oggi sono sganciati dalla realtà, senza riferimenti e valori, non riescono a scindere la realtà e il mondo che sta dentro i loro cellulari».


Un singolo albero che cade fa però più rumore di un'intera foresta in piedi.
«Assolutamente. Questi sono casi gravi e quindi eclatanti, ma sono la minoranza. Tanti, tantissimi ragazzi in questa pandemia che li ha privati della socialità, talvolta anche dei loro cari, sono stati eroici. Abbiamo una generazione di gran bravi giovani».


Come è possibile affrontare queste situazioni di disagio?
«Con quell'ideale triangolo di collaborazione tra famiglia, scuola e istituzioni. A Monselice c'è stato e c'è grandissimo impegno. Nelle scuole, pur con forze risicate, ci si mette anima e corpo. Quella dell'insegnante è una missione di vita. Però aiutare questi ragazzi è un lavoro lungo, faticoso, estenuante. E talvolta sembra impossibile riuscire. In autunno abbiamo anche organizzato con il Comune un corso per i genitori, per insegnare loro a relazionarsi con il nuovo mondo delle tecnologie e della rete in cui i ragazzi sono immersi. Ma un punto resta essenziale: ai giovani servono esempi e insegnamenti per crescere con dei valori».


I bulli si possono quindi considerare figli di un abbandono educativo ed emotivo?
«Certo. I giovani oggi hanno bisogno di emergere, di farsi vedere per mostrare che in un mondo in cui le relazioni reali soccombono a quelle virtuali anche loro esistono. C'è chi si limita a qualche disobbedienza, chi si mette in mostra su Tik Tok e, all'estremo, chi arriva a delinquere. Ma queste sono profondissime grida d'aiuto, che il più delle volte restano inascoltate. E allora è giusto punire, ma non criminalizziamo. Piuttosto cerchiamo di capire quali sono le ragioni vere di un disagio così profondo.

Ultimo aggiornamento: 16:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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